Fortunatamente sono una donna che, dopo aver studiato per anni senza mai contare sull’aiuto esterno, è riuscita ad ottenere una propria autonomia economica e a saper gestire risorse e problemi.
L’indipendenza economica è l’obiettivo principale a cui una donna deve mirare: infatti da questo deriva anche una libertà di azione e decisionale che nulla ha a che vedere con il coniuge, i parenti, gli estranei.
Ovviamente non è possibile e neppure auspicabile dover provvedere unicamente alla sussistenza di una famiglia e per questo il coniuge ha il dovere di collaborare, almeno in parte, alle spese della casa e alle esigenze della prole.
Con la scusa della parità dei generi, invece, sembra che i mariti e i compagni non si facciano carico neppure delle prime necessità dei figli e demandino ignobilmente ogni incombenza all’ alacre mogliettina.
Già questo sarebbe un valido motivo di separazione
Ma guardandosi in giro la situazione generale non è certo più rosea: capita infatti di andare a prendere un aperitivo con un amico e costui fa pagare la donna, ma non per la volgare scusa della parità, bensì per la pochezza e la disperazione del proprio reddito e per la tapina condizione di vita in cui versa.
Dico io: ma la dignità dove l’avete lasciata, oh piccoli e poveri uomini?
Io, anziché fare queste magre figure, eviterei anche di avvicinarmi al bancone di un bar o di mandare messaggi e inviti.
La società è cambiata ma questo non ha nulla a che fare con la galanteria, la coscienza, la dignità, la gentilezza, la cortesia, l’essere Uomo.
Mi cadono le braccia dinanzi a simili comportamenti, pubblici o privati, con l’approfittare della donna che lavora e che ha voluto la parità, come spesso sento dire da questi uomini falliti e di basso spessore morale.
Insegnerò a mia figlia la necessità della propria indipendenza economica ma soprattutto la diffidenza verso gli omuncoli privi di attributi, buoni solo ad autocommiserarsi e ad estorcere denaro, cene, aperitivi, o altro ancora.
Meglio restare da sole che addossarsi i fallimenti di un coniuge; nessuno infatti prescrive come terapia il matrimonio o il generare figli. Ovviamente questo vale anche nei rapporti di amicizia.
La stessa cosa insegnerò ai miei figli maschi: la donna, in condizioni di poter lavorare non deve fare la mantenuta, ma di sicuro i lavori di cura vanno equamente distribuiti sia che ella abbia un impiego che non ce l’abbia.
Basta con la suddivisione iniqua dei compiti: i mestieri di casa si fanno in due, così come il cambio dei pannolini, la pappa al neonato, l’aiuto nei compiti, il piacere a letto. Non è che si possa dire: c’è la mamma, è giusto che lo faccia lei.
Sono stufa di sentire discorsi opportunistici ed arcaici riguardanti le differenze tra uomo e donna.
E basta, una buona volta!
Persino l’orgasmo deve essere una prerogativa solo maschile?
Purtroppo sento ancora troppe donne insoddisfatte che hanno vergogna e paura di ammettere la loro situazione, quando a vergognarsi dovrebbero essere solo i maschietti.
Il maschio cacciatore la femmina preda è una dicotomia che non regge più, alla stregua dell’ abitudine patriarcale ( anche nelle persone di cultura, ahimè ) di affibbiare il nome del papa di lui al figlio partorito, allattato e cresciuto dalla madre.
Basta con i Pasquale, i Giovanni, i Vincenzo, gli Armando, gli Antonio, i Giuseppe di paleolitica memoria! Non è rispetto del suocero questo scempio di stampo maschilista! Questi nomi, oltre ad essere orrendi e talora un vero e proprio fardello da portare e sopportare nella vita, sono anche sinonimo di sottomissione, arrendevolezza, condiscendenza, pecoraggine, remissività.
Se una donna può e deve andare a lavorare ( oppure come enuncia la più famosa affermazione di Olympe de Gouges: […] la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna), spesso mantenere la famiglia, fare sia la casalinga che la portatrice di reddito, ha anche il diritto di decidere cosa le procura piacere e giubilo e cosa no.
Marito e moglie sono perfettamente interscambiabili nei ruoli, nelle emozioni, nei diritti e nei doveri: finché questa faccenda non sarà chiara non si dovrà proprio nominare la parola parità.
Ma tenete a mente, maschietti cari, che la gentilezza e il savoir faire, il fare l’UOMO, sono tutt’altra cosa.
Annalisa Capaldo