Cara #bravagente,
oggi a Casa Kolbe a Roma per un evento di Articolo Ventuno con, tra gli altri, Beppe Giulietti e il Presidente dell’Ordine Giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo su “Intelligenza artificiale, quale impatto sul lavoro giornalistico?” Condivido con voi il mio intervento
Buongiorno a tutti e ben ritrovati a casa Kolbe.
Oggi cercheremo ci capire e di confrontarci su quella che è la domanda che ci interroga tutti. Quali saranno gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’Intelligenza Artificiale se persino gli sviluppatori ne sottolineano i rischi? Le potenzialità sono incredibili se penso alle possibilità offerte ai ricercatori, alla scienza (quelle possibilità che già Internet e la rivoluzione digitale avevano ampliato enormemente). Ma può l’Intelligenza Artificiale essere un semplice strumento nelle mani di un uomo comune o c’è il rischio che a diventare strumento sia proprio quell’uomo che la utilizza? Non diceva Simone Weil che la tecnologia diventa letale quando il mezzo perde la sua natura e diventa il fine? Che ne è dell’uomo preso nella morsa dell’automatismo degli algoritmi? Di qui la necessità di fermarsi, come hanno chiesto molti, di mettere dei limiti e di scrivere un’etica degli algoritmi (algoretica dice Paolo Benanti).
Di che tipo di intelligenza si tratta? Di certo di un’intelligenza disincarnata, che si esercita senza un corpo e uno spazio, dimensione connaturate all’uomo. Il corpo è il segno della finitezza dell’uomo, della sua debolezza. Ma anche della sua forza e bellezza. È nel corpo che noi sentiamo quello che la mente da sola non può comprendere. È nel corpo che sentiamo le ragioni del cuore. E se il corpo ci rende umani un’intelligenza senza corpo avrà delle conseguenze su come sentiamo?
Questo ci coinvolge prima come uomini e poi come giornalisti. È una nuova sfida per la nostra professione certo, ma soprattutto per la nostra umanità. Buon lavoro a tutti!