L’Italia si butta alle spalle lo stato di emergenza e riparte a progettare il futuro, su cui però pesano nuovi elementi di criticità. È la fotografia scattata dall’Istat nel suo rapporto annuale 2023, presentato oggi, in cui è evidente l’alternanza di incertezze e segnali favorevoli.
Tra le incognite evidenziate dall’Istituto di Statistica c’è il forte rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime – accentuato dal conflitto in Ucraina – nonché l’andamento dell’inflazione che condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro.
Non mancano, tuttavia, segnali favorevoli. Nel 2022 è proseguita la fase di recupero dell’attività produttiva iniziata nel primo trimestre 2021. A fine anno, il saldo commerciale è tornato in attivo. Dati incoraggianti arrivano dal mercato del lavoro, dove all’aumento degli occupati si è associata la diminuzione dei disoccupati e degli inattivi.
Nel primo trimestre 2023, si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle maggiori economie dell’Unione europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi. La manifattura mostra invece segnali di rallentamento.
Sul fronte demografico, gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti: il consistente calo delle nascite registrato nel 2022, rispetto al 2019, è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite.
Investendo sulle nuove generazioni, rimarca l’Istat, si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione. Gli indicatori che riguardano il benessere dei giovani in Italia sono ai livelli più bassi in Europa. Le notevoli risorse finanziarie messe in campo per uscire dalla crisi dovrebbero supportare, secondo l’Istat, investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere e le competenze dei giovani nelle diverse fasi dei loro percorsi, intervenendo fin dai primi anni di vita.
AGI – Sempre meno neonati in Italia: nei primi quattro mesi di quest’anno le nascite (118mila) sono state l’1,1% in meno rispetto allo stesso periodo del 2022 e il 10,7% in meno rispetto all’analogo periodo del 2019. Il 2022 si era già contraddistinto per un nuovo record del minimo di nascite (393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila) e per l’elevato numero di decessi (713mila).
Su quest’ultimo fronte, nel primo quadrimestre dell’anno si assiste invece ad una decisa inversione della tendenza negativa che aveva drammaticamente interessato il precedente triennio: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno sul 2022, 42mila in meno rispetto al 2020 e quasi 2mila unità in meno rispetto al 2019.
Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo. Secondo l’Istat, il calo delle nascite tra il 2019 e il 2022 (27mila unità in meno) dipende per l’80% dal cosiddetto “effetto struttura”, ovvero dalla minore numerosità e dalla composizione per età delle donne. Il restante 20% è dovuto, invece, alla minore fecondità: da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022.
L’evoluzione di periodo del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate. L’età media al parto per le donne residenti in Italia, aumentata di un anno dal 2010 al 2020, è stabile negli ultimi due anni e pari a 32,4 anni.
Al 31 dicembre 2022, la popolazione residente in Italia ammonta a 58.850.717 unità (-179.416 rispetto all’inizio dello stesso anno, -3,0 per mille): il calo presenta, tuttavia, un’intensità minore, sia rispetto a quello osservato nel 2021 (-3,5 per mille), sia a quello del 2020 (-6,8 per mille), tornando a livelli simili al periodo pre pandemico (-2,9 per mille nell’anno 2019). Lo rileva l’Istat nel suo ultimo Rapporto annuale. Sempre al 31 dicembre 2022 si stima una presenza di 5.050.257 cittadini stranieri, in aumento di 20mila unità sull’anno precedente (+3,9 per mille), composta per il 51,0% da donne. L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è dell’8,6%, sostanzialmente in linea con l’anno precedente.
Nel 2022 le iscrizioni anagrafiche dall’estero ammontano a 361mila, con un incremento del 13,3% rispetto al 2021. Forte impulso alle iscrizioni dall’estero è dato dalle conseguenze della guerra in Ucraina alla fine di febbraio 2022. Al 31 dicembre 2022 si osserva un consistente aumento di iscrizioni in anagrafe dall’estero di cittadini ucraini (da circa 9mila nel 2021 a quasi 30mila nel 2022).
Il rallentamento dei flussi in uscita, osservato a partire dall’anno della pandemia, prosegue nel 2022 pur in assenza di vincoli agli spostamenti. Le cancellazioni per l’estero scendono a 132mila, -16,7% rispetto all’anno precedente. Il saldo naturale è diminuito in modo progressivo nel corso del tempo, toccando il minimo nel biennio 2020-2021, quando si è registrata una riduzione di oltre 300mila individui in media annua. A questo si aggiunge, nel 2022, un ulteriore decremento di 321mila unità, che porta quindi, in soli tre anni, alla perdita di quasi un milione di persone (957mila unità).
Nonostante l’elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l’89,7% riguardante over65, il processo di invecchiamento della popolazione italiana è proseguito, portando l’età media da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. La popolazione ultrasessantacinquenne ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023 e costituisce il 24,1% della popolazione totale. Sono alcuni dei dati del quadro demografico disegnato dall’Istat nel suo Rapporto annuale. Anche tra le persone ultraottantenni si rileva un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7% della popolazione totale.
Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80% dal 2000 a oggi. Ma anche gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”. Nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni.
Nel 2022 la stima della speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne; solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa due mesi e mezzo di vita in più. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora al di sotto di quelli del periodo pre pandemico, registrando valori di oltre sette mesi inferiori rispetto al 2019, sia tra gli uomini, sia tra le donne. Risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva, quanto i più giovani: i 15-64enni scendono a 37 milioni 339mila (il 63,4% della popolazione totale), mentre i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila (12,5%).
Tra il 2021 e il 2050 l’Italia ‘perderà’ quasi 5 milioni di residenti, dagli attuali 58,8 a fino a poco più di 54 milioni. E continuerà inesorabile il processo di invecchiamento. Lo rileva l’Istat nel suo Rapporto annuale, ricordando come già nel 2023 l’età mediana, 48,3 anni, sia la più elevata tra i 27 Paesi Ue: la struttura per età della popolazione cambierà in gran parte già tra il 2021 e il 2041, quando la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà di circa 2,5 milioni (-18,5%) e quella tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni (-16,7%). Al contrario crescerà di quasi un milione la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8%) e di 3,8 milioni (+36,2%) quella di 70 anni e più, che nel 2041 includerà la generazione del baby boom.
Tra il 2012 e il 2022 la quota di giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è cresciuta di 6 punti percentuali, raggiungendo il 78%, ancora 7,4 punti al di sotto della media europea (se si considera la classe 25-64 anni, il distacco arriva a 16,5). E’ quanto emerge dalla Relazione annuale dell’Istat, che ribadisce lo svantaggio del Mezzogiorno (per i giovani 25-34enni la differenza con la media nazionale è di 4,7 punti percentuali al Sud e 9,1 nelle Isole) e la situazione più favorevole per le ragazze, con una quota di oltre 5 punti superiore a quella dei coetanei maschi. Tra i 18-24enni, l’anno passato l’11,5% ha invece abbandonato precocemente gli studi, senza conseguire un diploma secondario superiore. L’incidenza degli abbandoni è superiore di oltre 4 punti tra i maschi rispetto alle femmine e, sul territorio, sfiora il 18 per cento nelle Isole.
Nell’anno scolastico 2021/22, quasi un giovane su 10 che hanno conseguito il diploma secondario superiore ha competenze in italiano e matematica inferiori a quelle degli studenti del secondo anno dello stesso ciclo (cosiddetta dispersione implicita). Si confermano le differenze di apprendimento per genere (la dispersione implicita tra ragazze è inferiore di 4,6 punti rispetto ai ragazzi) e, soprattutto, territoriali: nel Mezzogiorno la quota di dispersione implicita sfiora il 20% in Campania, mentre è inferiore al 2% in Trentino-Alto Adige/Sudtirol.
Nell’anno accademico 2021/22, l’incidenza degli immatricolati a corsi universitari sulla popolazione di riferimento dei 19enni è cresciuta di 10 punti percentuali rispetto all’anno accademico 2011/12, raggiungendo il 56%; tra gli immatricolati la quota di donne si mantiene stabile intorno al 55%. Circa il 30% delle immatricolazioni è in corsi con orientamento scientifico-tecnologico (cosiddette discipline Stem).
Lo rileva l’Istat nella sua Relazione annuale sottolineando che nel 2020 il flusso di laureati in rapporto alla popolazione di età 20-29 anni è quasi in linea con la media europea: per le lauree di primo livello rappresenta il 31,3 per mille (34,3 per la Ue27), con una crescita di 7 punti rispetto al 2013; per le lauree magistrali rappresenta il 21,1 per mille in Italia e il 22,1 per mille nell’Ue27; infine, i laureati (di qualsiasi livello) in discipline Stem nel 2020 rappresentano il 16,5 per mille (1,9 punti sotto la media Ue27).
In Italia, nel 2021 il tasso di espatrio per i laureati di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne. “Il fenomeno degli espatri – spiega l’Istat – differenziato sul territorio nazionale, si associa col permanere di una forte migrazione di giovani qualificati dalle province del Mezzogiorno verso quelle economicamente più dinamiche del Centro e, soprattutto, del Nord, che nel complesso registrano quindi un bilancio positivo”.
Nel corso del 2022 il numero di occupati è cresciuto del 2,4 per cento (+545mila unità) facendo registrare un aumento di molto superiore rispetto a quello osservato nel 2021 (+0,7 per cento pari a 167mila unità). Tale aumento ha pienamente compensato il crollo occupazionale registrato nel 2020 riportando nuovamente l’occupazione ai livelli del 2019, ma rimane comunque inferiore a quelli conseguiti dai principali paesi europei e dell’Ue27 nel complesso.
Il tasso di occupazione di 15-64enni è salito nel 2022 al 60,1 per cento (+1,9 punti percentuali in un anno), collocandosi al di sopra di quello osservato nel 2019. Si registra, inoltre, un forte calo del numero di persone in cerca d’occupazione (-339 mila unità) rispetto all’anno precedente. Il numero di inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ridottosi già nel corso del 2021, è calato ancora (-484mila unità) scendendo sotto il livello precrisi. Per quanto riguarda l’occupazione giovanile (25-34 anni) risultano occupati nel 2022 quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno.
In Italia, nel 2022 quasi un quinto dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione, sono i cosiddetti Neet. Nel rapporto si evince che il tasso italiano di Neet è di oltre 7 punti percentuali superiore a quello medio europeo e, nell’Unione europea, secondo solo alla Romania. Il fenomeno interessa in misura maggiore le ragazze (20,5 per cento) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9 per cento) e gli stranieri, che presentano un tasso (28,8 per cento) superiore a quello degli italiani di quasi 11 punti percentuali; questa distanza raddoppia nel caso delle ragazze straniere, per le quali il tasso sfiora il 38 per cento.L’allarme è stato lanciato dall’Organizzazione internazionale del lavoro: accesso al mondo del lavoro oggi è più difficile di quanto si pensasse negli ultimi vent’anni. Gender gap sul fronte dei salari ridotto appena
Le imprese a conduzione femminile attive nel 2020 sono un milione e 200mila (27,6 per cento del totale) mentre quelle guidate dagli under 35 sono poco più di mezzo milione. Le prime si caratterizzano per una prevalenza di ditte individuali (64,1 per cento a fronte del 58,8 di quelle maschili), un minor numero medio di addetti (il 2,9 per cento ha 10 o più addetti, contro il 5,1 di quelle maschili) e per un’età di impresa più bassa.
Queste operano per lo più nel settore dei servizi (68,9 a fronte del 51,1 per cento delle imprese maschili), caratterizzandosi per una più elevata incidenza nel settore Sanità e assistenza sociale (12,4 e 5,5 per cento), nelle Attività professioni, scientifiche e tecniche (20,1 e 17,2 per cento) e nei Servizi di alloggio e ristorazione (9,2 e 6,4 per cento). Le imprese guidate, invece, dagli under 35 rappresentano l’11,7 per cento del totale dell’industria e dei servizi.
“Nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro”.
Nel 2022 a livello globale si sono accentuate le forti pressioni al rialzo dei prezzi già emerse a fine 2021. L’escalation del conflitto russo-ucraino ha determinato un aumento esponenziale soprattutto delle quotazioni delle materie prime energetiche – in particolare del gas naturale – e dei prodotti alimentari che vedono i paesi coinvolti nella guerra tra i principali esportatori. Nella seconda metà del 2022, tuttavia, i listini dei prezzi delle materie prime hanno cominciato a diminuire. L’inversione di tendenza è stata guidata dalla diversificazione delle fonti di approvvigionamento da parte dei paesi importatori, dal clima particolarmente mite registrato nell’ultima parte dell’anno e dalla moderazione della domanda mondiale.
Il Pil italiano è previsto in crescita, sia nell’anno in corso (+1,2 per cento), sia nel 2024 (+1,1 per cento), seppure in rallentamento rispetto al biennio precedente. L’aumento del Pil sarà sostenuto prevalentemente dal contributo della domanda interna (pari rispettivamente +1,0 e +0,9 punti percentuali nel 2023 e nel 2024) e in misura più contenuta da quello della domanda estera netta (+0,3 e +0,2 punti percentuali). L’istituto evidenzia che i consumi delle famiglie residenti mostrerebbero una crescita dello 0,5 per cento nel 2023 e dell’1,1 per cento nel 2024.Nel primo trimestre 2023 si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle altre economie dell’Unione europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi. La manifattura mostra invece segnali di rallentamento.