La nota canzone di Celentano e della Mori faceva pensare al premio che chi lavorava doveva aspettarsi sotto le lenzuola. Chi non lavora non fa l’amore. Ma oggi forse è meglio non cantarla questa canzone giacché lavorare è assai più raro che fare l’amore.
È vero che molte persone senza titolo e senza capacità vorrebbero dirigere il Politecnico di Milano, ma è altrettanto vero che anche chi ha tutto in regola deve spesso accontentarsi di lavoretti sottopagati, a nero, frustranti.
Poi c’è il fortunato o la fortunata di turno che trova la raccomandazione giusta, magari acquisita dal parente di primo grado o chi ha amici nel clero ( non credevo fosse vero !) o ancora chi si trova al posto giusto al momento giusto.
Ma è così che ci avevano spiegato a scuola?
L’ Italia non era la Repubblica fondata sul LAVORO? E quale significato avrebbe il neo Ministero dell’istruzione e del merito se nulla cambia?
Togliere il reddito di cittadinanza non servirà a diminuire la povertà se non si aumenta l’occupazione dignitosamente retribuita e contrattualizzata, nonché le possibilità di allocazione delle risorse umane valide, insomma quello che gli inglesi chiamano start up.
Se facessimo una semplice indagine nel nostro paese, Nocera Superiore, troveremmo diplomati e laureati di entrambi i generi in cerca di lavoro da anni, sfiduciati, obtorto collo, tristi e ripiegati su stessi.
Naturalmente troveremmo nel nostro campione anche gli sfaticati, quelli che campano di rendita, ma io mi concentrerei su coloro che vogliono lavorare e che per varie ragioni non possono emigrare.
Ma poi neppure emigrare è corretto.
Quindi vi è un’immensa discrepanza di fondo: chi lavora perché ha la fortuna di conoscere la persona giusta e chi non ce l’ha.
Ovviamente la fortuna nella vita conta, come contano i sacrifici, le competenze, ma se arriva un tale che non sa fare un cerchio col bicchiere e trova subito un impiego pure ingiusto appare, no? Come chi è costretto ad emigrare per un lavoro vero e proprio e non il solito lavoretto, mentre un altro non si è mai dovuto spostare dal suo amato paesello.
Sono stufa di sentire la solita frase Salti chi può. Eh no, Salti chi merita!
Cambiamola insieme quest’Italia che non va, a partire dal nostro paese.
Annalisa Capaldo