“Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto.”
(If X, 31-36)
Anche per andare all’inferno bisogna utilizzare passione e razionalità, intelletto e sentimenti. Anche per essere grandi peccatori bisogna essere “magnanimi”, avere un animo grande, ergersi dalla cintola in sù, con il petto e con la fronte.
I “pusillanimi”, coloro che hanno gli animi rattrappiti, neanche l’Inferno li vuole, anzi li disdegna, perché non sono stati mai vivi, sono esistiti “senza ‘nfamia e sanza lodo”, senza lasciare traccia, senza mai esporsi, senza mai scegliere, andando dietro al gregge come gregari senza ideali e senza passioni.
L’incredibile plasticità con cui Dante ha consegnato al nostro immaginario il personaggio di Farinata lo rende ai nostri occhi degno di rispetto e di fama sempiterna. Farinata è colui che sa assumersi la responsabilità delle sue azioni, che sa “rispondere”, dare conto e ragione senza mezze misure, senza dare la colpa agli altri, al punto da avere il coraggio di opporsi, solo contro tutti, alla decisione di distruggere Firenze, alla cieca violenza, con un atto di dissociazione dalla massa, dal branco, un atto, appunto, di responsabilità, compiuto “a viso aperto”.
“Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto». (91-93)
Invece viviamo dalla cintola in giù. Questo è il problema. Giovani generazioni che vivono solo di istinti che coinvolgono il basso ventre, l’aggressività, la genitalità, la violenza, la voracità, le dipendenze, atti inconsulti giustificati perché il linguaggio elementare “di pancia” è il solo praticato, l’unico noto. Tutti pusillanimi, con animi piccoli, atrofizzati, ancora col cellophane, mai usati.
Dobbiamo avvicinarci a questi animi e a dobbiamo tirar via gli involucri e il calcare che li blocca, attivare i battiti e i sentimenti, come scrive potentemente il profeta: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”.
È compito di tutti, delle famiglie, delle scuole, delle chiese, delle istituzioni, degli intellettuali, degli anziani, degli artisti, di tutti.
Questi ragazzi, questi giovani, devono essere risvegliati, ridestati, non solo con le minacce di anni di galera e pene più severe, anche giuste, ma che non li toccano, non li turbano, perché non “sentono” né cosa provano loro stessi né cosa provano le loro vittime, non sono mai stati educati ai sentimenti, a provare pietà, tenerezza, gratitudine; l’unica emozione che sentono è la paura, la paura di non essere nessuno, di non essere abbastanza, che diventa odio nei riguardi della vita.
C’è bisogno di bellezza, di letteratura, di musica, di arte, di ideali, di fede, di letture, di musei, di concerti, di mostre, di teatro, di oratori, di volontariato, di politica.
Hanno bisogno di vedere cosa possono creare le loro mani con uno strumento musicale al posto di un coltello e di una pistola, hanno bisogno di servire alla mensa dei poveri, di elevare le braccia al cielo, di ballare dinanzi ad un tramonto, di piangere dinanzi alle Sette opere di misericordia di Caravaggio, di indignarsi dinanzi ad un’ingiustizia perpetrata sotto i loro occhi.
Dalla cintola in sù, al lavoro.