Durante il Seicento i cittadini di Nocera de’ Pagani divennero grandi devoti della Sacra Immagine di San Domenico custodita nel Santuario di Soriano e anche dell’Olio della Lampada che ardeva d’innanzi alla sua immagine, perché realizzavano guarigioni miracolose. Il convento di San Domenico in Soriano, divenuto in seguito anche Santuario, inizia la sua bellissima storia quando nel 1510 il frate domenicano Vincenzo da Catanzaro giunse a Soriano Calabro in provincia di Vibo Valenzia per ispirazione, si narra, proprio di San Domenico apparsogli in sogno, per edificare un nuovo convento dell’Ordine dei Domenicani. La piccola comunità di frati riunita a Soriano visse quasi ignorata fino a quando nella notte tra il 14 e 15 settembre del 1530 la Vergine Maria, Santa Maria Maddalena e Santa Caterina d’Alessandria vergine e martire apparvero a, fra Lorenzo da Grotteria, e gli consegnarono una tela raffigurante San Domenico, con il libro nella mano destra e con il giglio nella mano sinistra, perché la consegnasse al superiore per esporla ai fedeli. Gli eventi del 1530 furono sottoposti a un attento e scrupoloso processo canonico al termine del quale papa Urbano VIII autorizzò, nel 1609, la festa liturgica a ricordo della miracolosa apparizione. La Sacra Immagine di San Domenico fin dalla sua apparizione, ha avuto un forte impatto taumaturgico sul popolo cattolico, dispensando grazie e favori a quanti si sono recati a pregare al suo cospetto. Infatti, innumerevoli schiere di pellegrini dall’Europa e dal Nuovo Mondo, gente di ogni estrazione sociale, giunsero a Soriano per venerare la Sacra Immagine. Molti furono i nobili, tra cui il Duca di Nocera de’ Pagani, il Conte di Melissa, il Principe della Roccella con la Principessa Agata Branciforte, il Duca di Monte Alto, e molti altri. Tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento, dunque, il Santuario di San Domenico in Soriano divenne una delle più importanti mete di pellegrinaggio non solo dell’Italia meridionale ma d’Europa. Dopo questa breve parentesi possiamo solo aggiungere che particolare interesse desta anche la devozione dell’Olio della Lampada che arde d’innanzi alla celeste Immagine, tramite cui il Santo operò guarigioni straordinarie. Infatti, i pellegrini, giunti nel Santuario, usavano invocare l’aiuto di San Domenico ungendosi con l’Olio della Lampada che ardeva davanti al Quadro. Il fatto assume grande clamore, poiché gli stessi effetti miracolosi avvennero spesso con l’Olio di varie lampade accese davanti a semplici riproduzioni del Quadro di San Domenico in Soriano. Numerose sono le testimonianze di miracoli per opera del Santo e, per ciò che riguarda i cittadini di Nocera de’ Pagani, ne possediamo tre riportate ufficialmente nelle “Cronache del convento di San Domenico in Soriano” e che risalgono rispettivamente una all’anno 1637 e due a quello del 1648. Il miracolo, accaduto nell’estate del 1637 e che coinvolse un’intera famiglia, può essere considerato uno dei miracoli più sensazionali e dei più unici perché si tratta di una vera e propria risurrezione, capacità taumaturgica propria di Nostro Signore Gesù e che si è manifestata, in oltre duemila anni, nell’azione solo di alcuni Santi. Ecco, dunque, cosa accadde al devoto Battista Pagano e ai suoi due figli: “Partissi dalla Città di Nocera del Regno Gio: Battista Pagano, con due suoi figliuoli, l’uno chiamato Domenico, e l’altro Francesco alla volta di Soriano per venerar quella sacrosanta Immagine del Glorioso Patriarca San Domenico e per far sicura testimonianza della sua devotione. Ma perché il cammino fu incominciato di luglio, e terminato nei maggiuri caldi della state, ritornati a casa tutti tre s’infermarono di febbre pestilenziale; aggravavasi il male a tutti tre: ma nell’afflitto padre s’aggiungeva il travaglio nel vedersi inabile a soccorrere di presenza gli amati figliuoli. La compassione signoreggiava il cuore di ciascheduno, non solamente di casa, ma de’ convicini ancora, e del parentado tutto, vedendo in un’istesso tempo pericolare un padre con i suoi figliuoli, non havendo altri, che quelli. Solo nell’inconsiderata consorte non trovava luogo la pietà, che superata dallo sdegno (se bene per affetto materno) rimproverava di continuo il marito, che gl’havesse condotto i suoi figliuoli alla morte, e che l’inconsiderata divotione fusse stata ogni causa della lor rovina, a i rammarichi aggiungeva le parole mordaci, e al misero fabricando con le lagrime un lago di dolori, gli dava occasione di precipitarvisi dentro, e di morire. Cercava con voce fioca (ma col cuor’adirato) dall’altra parte il buon marito di persuader la consorte dell’opposto, ma ella sempre ricalcitrando a i suoi detti, gli replicava: “Ecco ove t’ha condotto la divotione del tuo San Domenico. Eccone gl’effetti della sua protettione. Eccone il fine de’ tuoi divoti viaggi, anzi della tua vita, anzi de’ tuoi figli, ultimamante di me misera, infelice madre”. Fra questi contrasti del padre, e della madre, Francesco il figlio maggiore d’età anni 18, in circa, contrastava con la morte, e cominciando ad agonizzare, non gli restava altro, che l’ultimo sospiro per esalar l’anima, diventar cadavero spettante alla terra, quanto lo spirito appartenente al Cielo, così seguì doppo non molte hore la morte, e seppelo pertanto casualmente il padre, ed invece di rattristarsi per così caro pegno perduto, mandato a chiamar la consorte così gli prese a dire: “È morto Francesco, ma la virtù divina di San Domenico in Soriano è anco potente a cavarlo di mano dalla tirannia della morte, e molto più sarà potente scioglier me, e Domenico l’altro mio figliuolo dai legami di questo letto, e dalle carceri della nostra infermità. Confidiamo in lui, che così avverrà, così farà del certo”. Queste parole, che uscivano dal cuore del confidente padre, eran’affogate dalle frequenti lagrime dell’istesso, non so se per tenerezza della perdita del figliuolo, o per la confidenza verso al Patriarca Domenico, fecero però contrario effetto nell’irata donna, poi che mossa vi è più dello sdegno, temerariamente si rammaricava della perdita del figliuolo, e della stolidezza (diceva ella) del marito. Quando che inspirato egli dall’eccessiva divotione del Santo comandò, che il corpo del già morto figliuolo, non sì tosto si portasse al sepolcro, ma che s’arrestasse in casa fin tanto, ch’egli altro in contrario non sia per comandare e fattosi prestare un vaso d’olio di San Domenico in Soriano, impose ad un servente, che ne stillasse alcune gocce nella bocca del cadavero. E mentre spargeva il fedele servitore l’olio di divotione fra le labbra del defunto, spargeva nell’istesso tempo di confidente padre le lagrime di compassione avanti Iddio vivente, le quali appena arrivate, e l’olio del Patriarca appena diffuso, che rese a volo la vita nel giovane, come se destato da grave sonno si fusse, e la sanità del moribondo padre, e nell’altro figliuolo, come se mai fussero stati soppressi da mal’alcuno. A quello evidentissimo miracolo ne restò la donna tanto contenta, quanto altrettanto confusa. Ma la confusione fu causa di devotione, e la contentezza facendola divenire santamente impaziente, affrettava il marito, e gl’altri due figliuoli alle lodi del Santo, li quali eccitati più dall’obligationi del Patriarca, che dalle persuasive della madre, tosto levati dal letto, se n’andarono al tempio a riconoscere Iddio, ed il P. S. Domenico di così segnalato beneficio” (Cfr. Croniche del convento di S. Domenico in Soriano, composte dal M. R. Maestro F. Antonino Lembo, Soriano 1687, Libro II, pp. 351-352).
Il secondo miracolo si definisce in genere per grazia ricevuta, quello cioè che avviene quando un fedele per debellare una malformazione o una malattia, di solito incurabile, si raccomanda, o fa voto, al Santo al quale è più devoto. Nel nostro caso questo nocerino era affetto da idropisia, cioè da un versamento liquido in una cavità sierosa del corpo o nel tessuto connettivo sottocutaneo specialmente nell’addome, che guarì in tre mesi dopo aversi affidato al Santo. Ecco la sua testimonianza: “Pasquale Pepe idropico incurabile per lo spatio di due anni, raccomandatasi al Santo migliorò subito, e guarì perfettamente in tre mesi. Venne da Nocera de’ Pagani sua Patria in Soriano per sodisfar al voto fatto, e ringratiar il Santo di così insigne beneficio” (Cfr. Croniche del convento di S. Domenico in Soriano, composte dal M. R. Maestro F. Antonino Lembo, Soriano 1687, Libro II, pag. 479).
Il terzo miracolo, anch’esso per grazia ricevuta, ha come protagonista una nostra vecchia conoscenza. Si tratta, infatti, di Fulvio De Risi, nato a Nocera de’ Pagani il 23 settembre 1622 da Geronimo e Antonia Caiazza, l’unico scampato agli sgherri del Duca di Nocera de’ Pagani Francesco Maria Domenico Carafa, e che sicuramente dopo la morte dei suoi compari, non ebbe vita facile (Cfr. il nostro articolo “Bulli nel Seicento” in data 8 agosto 2022). Consapevole di essere una preda braccata e non avendo più protezione, non gli restava che rivolgersi a un altro potente per avere salva la vita, e chi meglio di un Santo? Così il nostro peccatore, sollecitato soprattutto dalla sua famiglia e da qualche religioso, divenne un fervente devoto di San Domenico in Soriano. E anche questa volta aveva visto bene, infatti, il 25 settembre del 1648 il nostro personaggio rischiò seriamente di essere ucciso per mano di alcuni male intenzionati ma nell’invocare il Santo in quel preciso momento di grave pericolo ebbe salva la vita come si evince dal resoconto della sua vicenda: “Fulvio de’ Risi di Nocera delli Pagani, professava tanta divotione al Glorioso San Domenico in Soriano, che in segno di quella vestiva l’habito di lui, e fu nel dì della sua festa fatto anche partecipare delle gratie sue. Fu il su detto in tal giorno da’ suoi nemici circondato, con diverse arme da fuoco crudelmente assalito, già li scaricarono cotali colpi, che dovea per ogni natural ragione restar ivi nel punto stesso della vita, miseramente privo, ma perché invocò egli in quel periglioso istante l’aiuto del Santo, questi imprese così efficaciamente la sua difesa ch’avendo otto palle tutte le vestimente perforato, giunte alle carni, non ardirono offenderle punto, ma cascate a terra, si liquefecero a piè del buon divoto; gli nemici credendo haverlo certamente ucciso, si diedero velocemente alla fuga, egli sano, e salvo, rese gratie per all’hora al Santo, e doppo venne a compilar quest’officij in Soriano” (Cfr. Croniche del convento di S. Domenico in Soriano, composte dal M. R. Maestro F. Antonino Lembo, Soriano 1687, Libro II, pag. 451). Dopo questo episodio di Fulvio De Risi si perdono le sue tracce ma non è difficile, come accade in genere in questi casi, che egli si sia ritirato da quella vita disonesta per vivere finalmente più serenamente.