Sindaco condannato per il furto di una bicicletta di un migrante nel comune di Striano. Non fu un atto di discriminazione razziale, ma si trattò di un furto di bicicletta in piena regola quello avvenuto tre anni fa davanti al comune. A stabilirlo è la sentenza di primo grado, con la quale il tribunale di Torre Annunziata ha condannato (con pena sospesa) a quattro mesi Antonio Del Giudice, sindaco di Striano, vicesegretario regionale di Fratelli d’Italia e vicepresidente Anci Campania. Furto aggravato è il reato contestato al primo cittadino, per una vicenda di tre anni fa e per la quale la Procura di Torre Annunziata ha contestato anche l’aggravante della discriminazione razziale, poi caduta secondo il giudice monocratico Maria Camodeca.
Una domenica di fine ottobre 2020, quando ancora erano in vigore alcune restrizioni a causa della pandemia, sindaco Del Giudice effettuò un controllo in strada e, arrivato nei pressi del municipio con i volontari della protezione civile, decise di far rimuovere le biciclette parcheggiate sotto il porticato, che i migranti lasciavano in strada per prendere il treno della Circum. In un caso, munito di tenaglia, si fece fotografare mentre effettuava la rimozione delle bici, postando l’immagine sui social.
Quelle bici erano di alcuni immigrati del Mali, ospitati in un centro di accoglienza non lontano dalla stazione della Circum di Striano. Quando rientrarono da Napoli non trovarono le bici. Uno degli extracomunitari decise di denunciare la vicenda ai carabinieri a Striano, che avviarono le indagini e scoprirono che le biciclette erano state rimosse dal primo cittadino. Analizzando i filmati, però, emerse che una delle bici quella più nuova non era stata ammassata con le altre, ma era stata portata nel capannone dell’azienda del sindaco Del Giudice «per essere riverniciata con la scritta del Comune».
I carabinieri recuperarono la bicicletta e la restituirono al legittimo proprietario, ma le indagini sono andate avanti, fino alla citazione in giudizio del sindaco. Secondo il giudice non sussisteva l’aggravante della discriminazione razziale, per la quale la Procura sta già «valutando la possibilità di ricorrere in appello, dopo la lettura delle motivazioni».