
Annalisa aveva il mio nome ed è morta ammazzata dal suo compagno tra urla strazianti e terrore negli occhi.
La sua bara è la mia, le sue figlie le mie, il suo pianto il mio.
La piccola Indi aveva il mio stesso cuore, soltanto più piccolo, come un gheriglio di noce, la sua mamma potevo essere io.
E sono io che divento piccola e raggrinzita in un anelito di speranza in cui porgo a Dio infinite domande.
I bambini palestinesi sono tutti figli miei, mentre vedono la loro vita sparire sotto il fuoco e le macerie.
A tutti loro tendo la mia mano tremolante eppur salda, a tutti loro porgo le mie preghiere forse blasfeme, a tutti loro dedico ogni mia singola lacrima cocente.
Il cielo di novembre fa da sfondo alla morte ingiusta di queste creature e l’animo mio diviene una morsa stringente, un nodo inestricabile che non ha voce.
La terra umida coperta di foglie non riesce a nascondere le mani fredde di poveri esseri umani nati con un destino atroce che non meritavano.
In ogni loro ultimo respiro sento rimbombare flebile il mio cuore agonizzante, intriso di sdegno, inconsolabile e privo di perdono.
Il dolore non ha voce.
Aveva il mio nome, aveva il mio cuore.
Annalisa Capaldo