Diventare madri non è una necessità biologica, forse è solo una convenzione sociale, una prassi consolidata nei secoli dei secoli, non lo prescrive il dottore di fare figli. Però devo ammettere che senza i miei bambini, che pur mi fan penare, non avrei superato perdite preziosissime di persone mai rimpiazzate, né sarei riuscita a stringere i denti quando neppure quelli avevo più.
In effetti non vi è alcuna necessità di sfornare marmocchi solo per egoismo personale, per vanto, per soddisfazione, che ne so, per sentirsi in qualche modo artefici di un miracolo: nessuna donna avverte una necessità fisica, morale o psicologica di mettere al mondo figli!
Tuttavia proprio io che non ero la madre ideale, neppure la tata per antonomasia, quella che coi bambini non ci andava a nozze insomma, mi ritrovo a sentirmi pienamente intrisa di significato, di pregnante esistenzialismo, oserei dire, proprio da quando ho dato alla luce i miei tre pargoli.
Io ho avuto dei nonni paterni di animo oltremodo nobile e buono e mio padre era il loro degno erede: perdere persone del genere non è accettabile perché non ne esistono di simili e la povertà umana che deriva dalla loro assenza è intollerabile.
La nascita dei miei figli non è stato un bisogno biologico, ma un valido motivo per non precipitare nel nichilismo più abietto, per non deviare gravemente dalla morale: Gloria, Alessandro e Luca sono stati il primo pensiero felice da quando la tristezza più deplorevole si era impossessata di me ed è a loro che penso se devo scegliere dei biscotti al super o la pizza o se devo prenotare un viaggio e comprare dei vestiti.
Non lo prescrive il dottore di fare figli e si sa che nessuna donna è meno donna senza prole: probabilmente la voglia di colmare vuoti profondi come voragini mi ha spinto a riprodurmi, unita al desiderio di rendere felici almeno un po’ i miei genitori.
Naturalmente nulla è stato facile e bellissimo: dai parti (cesareo, spontaneo ,indotto) che ho sperimentato, agli spaventosi e talvolta gravi incidenti in cui sono incorsi i miei figli, alle sconfitte come genitore, alle paure del futuro, delle malattie e dell’ ignoto.
Eppure le difficoltà dell’ essere madre mi spingono a tenere duro ogni giorno, a non commettere nefandezze sul luogo di lavoro subendo ingiustizie e modus agenti deprecabili, a sopportare gente insulsa che si crede superiore ma di fatto non lo è.
La natalità è bassa, bassissima perché non ci sono certezze nella società liquida in cui viviamo, il lavoro spesso è precario o assente, i soldi scarseggiano e a nulla valgono i bonus di mussoliniana memoria di questo governo: ma fare figli, oltre a richiedere soldi e tempo, richiede soprattutto coraggio. Mia nonna Elena, che avrete sentito nominare nei miei scritti, sosteneva spesso: “Nemmeno una formica dovrebbe diventare mamma”. Eh già, ora capisco cosa intendeva dire: l’ansia che deriva dal troppo amore è insostenibile a volte.
Non esiste una ricetta magica o una soluzione univoca al proceare: non è giusto o sbagliato partorire, ogni donna è donna nello stesso modo, madre o meno.
Non l’ ha prescritto il dottore, ma di sicuro lo zampino divino c’è negli occhi dei miei figli.
Annalisa Capaldo