“Profondi divari regionali” vengono evidenziati dal report Svimez “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute” (presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children) in termini di prevenzione oncologica. Il Report, pubblicato nell’ultimo numero di Informazioni Svimez e curato da Luca Bianchi, Serenella Caravella e Carmelo Petraglia, offre una fotografia delle condizioni territoriali del SSN al quale si rivolgono i cittadini per le cure. Nel report si legge che “secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa 2 su 3 lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno”. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, “dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli”. I dati relativi agli screening organizzati dai servizi sanitari regionali, si legge ancora nel report, “confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i Lea. La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia”.
Fuga dal Mezzogiorno
Il report parla di “fuga dal Sud”. Il 22% dei malati oncologici del Sud, sottolinea il report, si fa curare al Nord. “Nel 2022 – si legge – dei 629mila migranti sanitari, il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un Sistema sanitario regionale del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso”. È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). “Al Sud i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza”, sottolinea Svimez. Save the Children evidenzia “numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga, ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza, nel 2020 si attesta in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria”. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Irccs pediatrici.
L’autonomia differenziata allontana le Regioni
“L’autonomia differenziata in ambito sanitario aggrava le disuguaglianze interregionali”. È la posizione espressa nel report Svimez “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children. Il Report, pubblicato nell’ultimo numero di Informazioni Svimez, curato da Luca Bianchi, Serenella Caravella e Carmelo Petraglia, offre una fotografia delle condizioni territoriali del SSN al quale si rivolgono i cittadini per le cure. “L’obiettivo dell’equità orizzontale della sanità – si legge – è ulteriormente messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata. Sulla base delle risultanze del Comitato per l’individuazione dei Lep, in particolare, tutte le Regioni a Statuto ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai Lea in un lungo elenco di ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. La concessione di ulteriori forme di autonomia potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò, in un contesto in cui i Lea non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e 5 delle 8 Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario”. Secondo la Svimez, “con l’autonomia differenziata si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra Sistemi sanitari regionali e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute”.