Il 6 febbraio, la direttiva europea per contrastare la violenza di genere ha cancellato l’articolo 5 del testo originario, che conteneva la definizione di stupro come rapporto sessuale senza consenso. Questa direttiva rappresenta un arretramento nei diritti delle donne e ostacola ulteriormente l’accesso alla giustizia per le donne che hanno subito violenza.
Inoltre, la direttiva non fa più riferimento alle molestie sessuali subite sui luoghi di lavoro. Pur introducendo il ciber flashing (condivisione di immagini intime senza il consenso di chi le riceve) e il revenge porn (condivisione di immagini intime senza il consenso della persona interessata) come forme di violenza, queste vengono considerate reati solo se le donne dimostrano di aver subito danni gravi dalla loro diffusione.
Infine, la direttiva non menziona affatto la formazione delle forze dell’ordine e della magistratura per contrastare il fenomeno della vittimizzazione secondaria. Di conseguenza, se una donna violentata non riesce a reagire, si paralizza per il trauma o perde i sensi, dovrà poi dimostrare in tribunale di aver realmente resistito alla violenza sessuale. È come se il danno non bastasse, si aggiunge l’offesa!
Ci auguriamo che il testo venga rivisto e che si adegui alla Convenzione di Istanbul, così come sottoscritto dagli Stati membri, L’Unione Europea ha la missione di tutelare e rafforzare i diritti civili, non di indebolirli ed è questo principio cardine che deve guidare trasversalmente l’azione politica di chi opera nelle Istituzioni a tutti i livelli.