La vita e la vitalità di un personaggio partono anche dal mondo in cui vive e respira: questa la lezione di Silvio Di Monaco, nocerino di nascita e scenografo per alcune importanti produzioni RAI andate in onda negli scorsi giorni: i biopic “Califano” e “Mameli”, che raccontano uno spaccato di vita dei rispettivi personaggi protagonisti. Il segreto di un ambiente vivo, che rispecchi ed accompagni la narrazione di un personaggio, sta nell’unione tra la ricerca e la creatività: «Si parte da tanti riferimenti paralleli di uno stesso periodo storico, e non si può restituire una “fotocopia” della realtà. Nella fase creativa tappezziamo pareti come se volessimo fare un collage, per lasciarci uno spazio di “inventiva” di quello che in fin dei conti è un processo artistico basato sulla realtà.»
Silvio Di Monaco non nasce come scenografo: ha una formazione da architetto che porta con sé in questo lavoro che svolge da circa dieci anni, e che impiega soprattutto in quei set storici che hanno un particolare bisogno di conoscenze architettoniche. «Quando lavoro, mi ispiro a tutto ciò che mi emoziona. In particolare i miei cardini sono Mies van der Rhoe e Frank Lloyd Wright, e poi sicuramente il futurismo italiano, da De Chirico a Mario Chiattone e anche a Marinetti.»
L’ambiente in cui si visualizza un personaggio, per Di Monaco, è perciò essenziale nel percorso della costruzione della caratterizzazione di un protagonista, sia che si parli di un personaggio completamente fittizio come quelli de “L’amica geniale”, serie RAI per la quale lavora in sinergia con lo scenografo Giancarlo Basili nel ruolo di art director, sia che si tratti di personaggi reali come appunto Franco Califano o Goffredo Mameli. «Per Califano, ad esempio, non abbiamo ricreato la sua casa nei minimi dettagli ma abbiamo interpretato il suo “mood”. Anche il Kit Kat, il locale di Roma in cui Califano si esibiva, era in realtà un locale molto basilare, con delle grosse pannellature con sopra dei gatti dipinti a mano. Noi invece abbiamo scelto di metterci dei grossi quadri in stile De Chirico, con i gatti che attraversano i tetti di Roma.»
Lo studio, però, può essere anche sacrificato ad una narrazione più efficace. «Fuor di polemica, quello che mi ha colpito del nostro Mameli è che è un ragazzo. Quella che ha provato a fare l’Italia in quegli anni è una banda di ragazzini che nulla hanno a che fare con il Mameli che siamo abituati a vedere sui libri di storia, con quella barba che forse gli hanno messo per fornirgli più potenza e autorità. Sicuramente a vent’anni, all’epoca, si facevano cose diverse rispetto ad oggi… ma la genialità prescinde da tutto, anche dall’età.»
Ogni esperienza lavorativa porta con sé degli aneddoti curiosi: durante le riprese torinesi di “Mameli”, che è stato girato tra Roma, Genova e Torino, il team di Di Monaco si è ritrovato ad essere “dirimpettaio” del team che lavora alla seconda stagione di “Lidia Poet”, produzione Netflix in costume che racconta la storia (romanzata) della prima avvocatessa d’Italia. Insomma, due storie “vicine di casa” e di linea temporale.
Ogni produzione è un mondo a parte, e questo è in particolar modo vero per Di Monaco nel caso delle grandi produzioni in cui vengono ricostruiti spazi molto ampi, come i quartieri antichi de “L’amica geniale”, attualmente ancora in piedi nell’ex zona industriale di Caserta, in un’area di circa 30mila metri quadri. «È come fare un viaggio nel tempo,» afferma Di Monaco. «Si crea un’atmosfera magica, è una città tutta tua, i film storici hanno questa caratteristica di trascinarti fuori dal tempo, e quando si ritorna sembra di scendere da una nave che ha attraversato una tempesta. Tempo una settimana, però, vuoi risalirci.»