Mentre la Flagellazione è tornata a Napoli, per il momento ospite del complesso di Donnaregina, un’altra opera di Caravaggio arriva in città, nel palazzo Ricca della Fondazione Banco di Napoli. Si tratta de La presa di Cristo, parte della collezione Ruffo (da venti anni proprietà di Mario Bigetti), una dei due autografi di cui poi sono state realizzate 15 copie .Opera nota ma smarrita è stata ritrovata dal Longhi, che la aveva esposta nel 1951. Prestata dall’odierno proprietario si potrà vedere fino al 16 giugno.
L’OPERA
Inserita in un’ intera stanza dedicata, al buio, tranne le luci che illuminano il quadro, fa un grande effetto. IL gioco di luci ed ombre, di materia e rarefazione si fa intenso. In realtà Caravaggio è come se “Zumma”, cioè si focalizzasse su un dettaglio della scena, rispetto a quella descritta nei testi sacri. Al centro Cristo, con un volto espressivo, dominato da Giuda a cui si contrappone, insieme al militare dall’armatura scintillante. Anche dietro di lui altre armi e scintille e molto probabilmente tra gli altri si ritrova la stessa immagine di Caravaggio. Ma la scena più incredibile è san Giovanni che, come lanciato da una forte energia, si distacca urlando, spostandosi nella direzione opposta. Un urlo che anticipa la tragica storia di Cristo e che lo proietta quasi fuori il quadro stesso. QUesti 6 personaggi (uno si intravede dietro il volto del presunto Caravaggio) sono organizzati nello spazio quasi seguendo l’andamento dei nasi, mentre il panneggio rosso accoglie la scena madre di Cristo-Giuda.
LA STORIA DEL QUADRO
Questo Caravaggio, commissionato dalla famiglia Mattei, scompare nel 1638 scompare, Luca Giordano in un catalogo lo mette in inventario nel 1688, poi passa ai Colonna di Stigliano, a Cecilia Ruffo che sposa un Colonna di Stigliano. Vendendo casa, palazzo Zevaillos e le sue opere finisce poi nelle mani dei Ruffo di Calabria a cui l’acquista Mario Bigetti una ventina di anni fa. Il quadro è stato ritrovato da Roberto Longhi nel 1943, indicato come la migliore copia del Caravaggio perduto. Si è arrivati alla conclusione che questo è il primo dei due veri (il secondo è l’opera di Dublino) del 1603, mentre gli altri 15 quadri sono copie. Si sostiene sia il primo perché, facendo le analisi e sofisticati studi, si è notato che ci sono vari ripensamenti e cambiamenti visibili nella tela che nell’altra opera (tral’altro più piccola di misura) non sono presenti. Un altro elemento a prova di questa ipotesi, come sottolinea l’architetto e storico dell’arte Francesco Petrucci, curatore della mostra con don Gianni Citro, è il fatto che nell’inventario del 1616 di Giovanbattisa Mattei ricompare ili quadro segnalando la sua cornice nera rabescata d’oro, che è proprio come quella che contiene tutt’ora il dipinto. I quadri caravaggeschi del periodo romano avevano questo tipo di cornice, ma questa resta un unicum perché le altre sono andate perse.
LO SPAZIO DELL’ESPOSIZIONE
L’opera torna a Napoli, a poca distanza dall’opera caravaggesca de Le sette Opere di Misericordia, nel vicino Pio MOnte della Misericordia. Un dialogo intenso, nella stessa strada che però in questa seconda occasione permette di avere un ulteriore connessione: con i documenti presenti in loco per le commissioni caravaggesche. Nell’antico archivio bancario si ritrovano documenti delle commissioni fatte al Caravaggio: la committenza del mercante Nicolò Radolovich al maestro per una pala d’altare, datato 6 ottobre 1606, prima testimonianza certa della presenza a Napoli del Caravaggio in fuga da Roma; il pagamento per la realizzazione dell’opera più rappresentativa del soggiorno napoletano, Sette opere di Misericordia, datato 9 gennaio 1607; un documento dell’11 maggio 1607 riferito alla Flagellazione, untempo nella chiesa napoletana di San Domenico Maggiore, oggi al Museo Diocesano – Complesso Monumentale Donnaregina. Documenti visibili nella sezione del Cartastorie mentre in una delle sale della mostra si può vedere il documento della commissione di Geronimo Mastrillo che il 28 aprile del 1607 dà 30 ducati per un quadro raffigurante o san Gennaro o san Geronimo, non è chiaro dalla scrittura del ‘giornalista’.
Alla presentazione erano presenti, oltre i curatori, il sovrintendente archivistico e bibliografico della Campania Gabriele Capone, il presidente della Fondazione Banco di Napoli Orazio Abbamonte e il presidente del Museo dell’Archivio storico del Banco di Napoli Marcello D’Aponte.
La presa di Cristo
Caravaggio
2 marzo – 16 giugno
Palazzo Ricca – Via Tribunali 263
Dal martedì alla domenica – dalle 10.00 alle 18.00