In esclusiva alle Iene, ai microfoni di Filippo Roma l’arbitro di Serie A e B Eugenio Abbattista, da un anno e mezzo impiegato al Var, lancia il suo j’accuse sul mondo degli arbitri italiani. L’uomo, che a oggi risulta l’unico arbitro della storia del calcio italiano a dimettersi spontaneamente a stagione in corso, è stato suo malgrado al centro dei precedenti servizi che la trasmissione ha dedicato allo scandalo dei voti truccati e dei meccanismi per decidere quali arbitri tenere in organico e quali mandare a casa. Oggi dichiara: “Adesso sono libero di denunciare lo schifo che c’era intorno a me” e rivela di aver chiesto più volte all’associazione arbitri di poter parlare, senza mai ricevere l’autorizzazione. Questa l’intervista rilasciata a “Le Iene”, in onda stasera, martedì 19 marzo, in prima serata, su Italia 1.
Roma: Perché ti sei dimesso?
Abbattista: Mi sono dimesso perché ero stanco della sensazione di schifo che avvertivo attorno. Mi sono sentito con un bavaglio alla bocca che non mi apparteneva. Impossibilità di parlare, di esprimermi e autorizzazioni negate. Dopo il primo servizio che mi riguardava, io ho chiesto di poter parlare, non mi è stata concessa l’autorizzazione.
Roma: E perché, secondo te?
Abbattista: Perché risultava scomodo farmi parlare perché il documento che il massimo organismo degli arbitri ha prodotto nell’anno in questione e che ha permesso a me e ad altri arbitri di rimanere in organico, è un documento evidentemente falso.
Eugenio Abbattista fa riferimento ai verbali in cui, secondo la procura federale, veniva falsamente attestata la reale proposta di conferma e dismissioni degli arbitri in organico da parte dei valutatori dei direttori di gara, che quell’anno erano il designatore Nicola Rizzoli per la Serie A e l’ex arbitro emerito Emidio Morganti per la Serie B.
Roma: E perché è falso quel verbale?
Abbattista: Perché io dovevo andare a casa, dovevo smettere di arbitrare perché non era stato chiesto che io rimanessi nell’organico. Il documento che è stato prodotto attesta il mantenimento nell’organico mio, di Calvarese e di Giacomelli, quando, in realtà, la relazione che avevano presentato i due valutatori parla di me Giacomelli e Calvarese a casa. Morganti mi ha chiamato e mi ha detto “Alla fine dell’anno smetti di arbitrare per la massima permanenza nel ruolo come arbitro”.
Roma: Quindi tu, ovviamente, dai per scontato che saresti stato dismesso?
Abbattista: Assolutamente sì, tant’è che io dopo quella gara ho anche mollato dal punto di vista degli allenamenti, dell’impegno, perché ritenevo che alla fine dell’anno avrei smesso di arbitrare.
Roma: Invece, quando hai scoperto che eri stato confermato, cosa hai pensato?
Abbattista: Sono stato contento perché restare in campo comunque mi gratificava. Però poi quando ci sono stati i ricorsi dei colleghi dismessi ho iniziato a capire che qualcosa non era andato per il verso giusto. Ho richiesto due volte volontariamente di essere ascoltato dalla Procura Federale per fare chiarezza. Ho confermato che Morganti mi aveva già comunicato che avrei smesso di arbitrare e nelle audizioni, mi hanno chiesto più volte: “Ma sei sicuro? Ma è vero? E così? Sei Certo?”. E, a conferma che il verbale del massimo organismo degli arbitri è falso, c’è un documento inedito che sono in grado di fornirvi dove c’è l’indicazione dell’organico della stagione. In quel documento lì né per Giacomelli né per Calvarese né per me, c’è un’indicazione di deroga o di conferma. Non c’è. Non lo troverete. Questo certifica che il valutatore Emidio Morganti, che voi avete intervistato, ha detto il vero: per me non era stata richiesta nessuna deroga, nessuna conferma.
Eppure, il valutatore Morganti fu sanzionato, mentre la posizione dei componenti del Comitato Nazionale fu archiviata. Filippo Roma ha chiesto spiegazioni al vicepresidente dell’Associazione arbitri Alberto Zaroli, (facente parte del comitato nazionale che salvò Abbattista e mandò a casa gli arbitri Baroni e Minelli, ndr.), ponendogli questa domanda: “È vero che lei e i suoi colleghi del Comitato nazionale avete prodotto un verbale che attesta il falso?”, “Non è assolutamente vero – ha risposto Zaroli – la procura archivia questo procedimento perché il fatto non sussiste.”.
Abbattista commenta con l’inviato la risposta del suo vicepresidente: “Nel momento in cui delle persone sono sedute a un tavolo vedono, sono testimoni di un atto che poi si è verificato essere falso e non denunciano di fatto sono complici. Nel momento in cui io ho un’evidenza certa che quell’atto ha portato a condannare degli innocenti e a lasciare impuniti dei colpevoli, perlomeno per dignità personale l’atto delle dimissioni credo che sia dovuto. Ero stanco di essere circondato da uno schifo. Era uno schifo sia dal punto di vista dei valori che dell’atmosfera che respiravo e ho detto basta. La sensazione è che la Procura non andasse alla ricerca della verità, andasse alla ricerca della versione più comoda possibile.
Roma: Ma, quindi, avrebbero condannato un innocente, cioè Morganti, e salvato quelli che avrebbero attestato il falso nel verbale?
Abbattista: Sembrerebbe, tristemente, che, nonostante noi dovessimo essere i garanti delle regole, i massimi portatori di giustizia, che è assolutamente come stai dicendo tu.
Roma: Qual era l’interesse dei vertici dell’Aia nel riconfermare te, Calvarese e Giacomelli?
Abbattista: È stata una mossa politica che niente a che fare con il terreno di gioco e con quello che gli arbitri vanno a fare in campo.
Roma: Cioè per ingraziarsi le vostre rispettive sezioni a fini elettorali?
Abbattista: Non solo, e anche di equilibri territoriali che sono tipici dell’Aia. È evidente, a febbraio 2021 si sarebbero fatte le elezioni, io la ritengo incomprensibile sia dal punto di vista politico che dal punto di vista umano. E una delle ragioni per cui ho raggiunto quel livello di schifo di cui ti parlavo, che poi porta un uomo libero, a dire “mi dimetto perché ho necessità di raccontare una verità”.
Roma: Nell’Aia c’è democrazia?
Abbattista: Se degli arbitri giocano a calcio sono delle partite inarbitrabili, la necessità in cui L’Aia ha fallito è quella di non avere un arbitro che regolamentasse il gioco tra due squadre che per vincere sono disposte a fare qualunque cosa. Noi abbiamo dimostrato che non ci meritiamo due cose, la democrazia e la politica, perché non siamo in grado di metterle in pratica, è inammissibile che un cittadino per poter parlare di questioni personali deve chiedere delle autorizzazioni, e peggio ancora, deve avere delle versioni concordate del mettiamoci d’accordo su cosa dire e non dire. Capite che così fare sport e andare in campo è difficilissimo dal punto di vista psicologico? Ancor di più quando questa cosa viene fatta in maniera subdola. Una totale assenza di democrazia nel senso più puro del termine.
A proposito di presunte pressioni di cui parla Abbattista, la trasmissione si è chiesta se una gestione sbagliata degli arbitri possa arrivare a falsare un campionato. (Ndr.: nel video in onda stasera viene considerato il caso di Gianpaolo Calvarese, il direttore di gara di Juventus-Inter, penultima partita del campionato 2020/2021. Calvarese quell’anno ha potuto arbitrare grazie a un verbale che Abbattista reputa sia falso, e, a fine campionato, viene designato proprio per quella partita decisiva che, stando alle regole, non avrebbe neanche dovuto arbitrare. A tre minuti dalla fine, le due squadre stanno sul 2 a 2 ma proprio allo scadere del tempo l’arbitro Calvarese fischia un rigore a favore della Juve per un contatto tra i giocatori Cuadrado e Perisic. La Juventus realizza il penalty, vince 3 a 2 e si classifica al quarto posto, con un punto in più del Napoli, entrando nella rosa delle squadre ammesse in Champions League. Si fa riferimento a quella decisione arbitrale perché ha prodotto una differenza che è valsa decine di milioni di euro. Ma quel rigore non c’era e anche lo stesso Calvarese ammetterà di avere sbagliato.).
Roma: Un clima poco democratico e meritocratico può influire sui tanti errori che vediamo in campo e al Var?
Abbattista: Alcuni degli errori sì, perché fanno parte di un processo psicologico. Immaginatevi se uno sportivo deve andare in campo con un fardello psicologico, comunque con un’atmosfera, un’incidenza che sicuramente bene non gli fa. Ecco questo ha grande rilevanza al pari di avere un contratto annuale, perché anche quello suggestiona, limita, crea pressione potrebbe essere sicuramente impattante e portare anche ad avere un calo della performance perché non sei sereno. Chi scende in campo si deve occupare di tecnica, di atletismo, non di politica, di quella fazione, di quell’altra fazione o avere, peggio ancora, una preoccupazione perché se non sei della sezione che è nel solco giusto chissà che succede.
Roma: E come si potrebbe far sentire gli arbitri in campo più sereni e meno soggetti a possibili pressioni esterne e condizionamenti?
Abbattista: Abbiamo bisogno di una figura di garanzia, quindi di un soggetto terzo rispetto a chi valuta chi designa, chi va in campo, che verifichi la liceità dei comportamenti e delle prestazioni di chi va in campo, la liceità, i comportamenti di chi valuta. Quindi sicuramente può succedere che un valutatore metta un voto sbagliato? Può succedere. Abbiamo in questo momento all’interno dell’Aia un organismo che verifica e quindi fa la valutazione dei valutatori corretta, reale, con degli elementi oggettivi? No, non c’è.
Roma: Puoi negare il fatto che però le carriere degli arbitri dipendono anche da motivazioni politiche?
Abbattista: Se te lo negassi non mi sarei dimesso e quindi te lo dico chiaramente. In alcuni casi, assolutamente sì.
Roma: E quindi stai confermando quello che ci ha raccontato il nostro arbitro anonimo? (Ndr. L’arbitro che ha scelto di mantenere l’anonimato e denunciare pubblicamente quelle che per lui sono gravi anomalie nel sistema arbitrale in Italia).
Abbattista: Allora, sull’arbitro anonimo, sì, però c’è un distinguo Filippo, che io sono qui con la mia faccia, ho rinunciato a 24 anni che, in assoluto, è stato il più grande amore della mia vita, io sono a lutto. Però ha prevalso sulla bilancia della mia scelta la necessità che io non accetto più che qualcuno mi dica se io posso o non posso esprimermi o, peggio ancora, voglia concordare con me una versione. Non c’è da concordare un bel niente. C’è solo da raccontare la verità, perché se noi per primi che dovremmo essere garanti delle regole garanti della verità, impediamo a uno dei nostri di poter parlare per esprimere la verità di una situazione e di un fatto, fanno bene a non crederci, perché siamo noi stessi che ci siamo abbassati con la credibilità e io non lo accettavo più, tant’è che sono qui a parlare con voi.
Roma: Quando ho cercato di intervistare Zaroli sono andato a Nocera Inferiore al 75º anniversario della sezione e gli arbitri lì presenti non mi hanno proprio steso i tappeti rossi.
Abbattista: Ritengo veramente vergognoso che un giornalista che vuole fare chiarezza venga accolto con questa modalità e venga cacciato via con quella veemenza e con quella violenza. Cosa c’è da nascondere? Qual è il problema? Cosa volevano che tu non chiedessi? Ce lo spieghino.
Roma: Come si esce da questo che tu stesso hai definito schifo?
Abbattista: In una sola parola Filippo, Reset.
Roma: Cioè?
Abbattista: Cioè commissariamento. Subito, immediatamente. Perché siamo in uno stato di confusione che richiede, in questo momento, un intervento di pulizia generale. In questo momento non siamo all’altezza di gestire una competizione elettorale. La cosa che serve oggi è riscrivere le regole dell’associazione, con principi di equità, con il senso di giustizia. Dotare l’Aia di un organismo di controllo e di revisione terzo, al di sopra delle parti, lo dobbiamo anche agli italiani, ai tifosi, perché siamo un’associazione di diritto pubblico. Abbiamo dimostrato in vent’anni di aver fallito. Se vogliamo riacquistare la credibilità all’esterno, dobbiamo avere il coraggio in questo momento di partire da zero.
Roma: Ora che sei libero, se tu dovessi fare una critica a Rocchi, che critica faresti?
Abbattista: Siamo in una fase storica dove tutti, nessuno escluso, e quindi anche il valutatore, avrebbero dovuto fare gesti forti come il mio. Perché quando qualcosa inizia a diventare intollerabile bisognerebbe e avremmo probabilmente dovuto tutti fermarci e dimetterci.