Nell’antica Pompei, entrando dall’ingresso di piazza Anfiteatro, una volta attraversato il tratto di passeggiata nel verde che costeggia le antiche tombe della necropoli di Porta Nocera, si giunge in un luogo unico che, come accade anche in altri punti della città, è pregno della sacralità di una catastrofe. Si tratta dell’area espositiva di alcuni calchi di 4 vittime dell’eruzione, rinvenute nell’autunno del 1956, durante la sistemazione dei fronti di scavo, nell’area tra la via delle tombe e le mura della città, nel settore nord-occidentale dove furono trovati anche i resti di una struttura per muliones (mulattieri).
Tornano visibili da tutti, dopo un restauro, offrendo nuovi sguardi di questo tragico momento. In effetti i calchi, soprattutto quelli di corpi umani, sono una delle visioni più ricercate da chi visita la città antica. La tecnica archeologica, inventata dall’archeologo Giuseppe Fiorelli, che prevede il riempimento con gesso delle cavità lasciate nella cenere indurita dai materiali organici deterioratisi, riesce a rendere la terribilità della scena dell’eruzione, ricostruendo i dettagli del volto, della posizione dei corpi rimasti lì nel posto in cui sono stati colti dall’eruzione vulcanica del 79 d.c. E non lascia indifferenti.
I CALCHI DI PORTA NOCERA
Dei 4 calchi delle vittime, solo uno giace nella posizione originale di rinvenimento. Si tratta di un uomo adulto, alto ca. 1,80 m in posizione prona con le gambe divaricate, coperto sulla parte posteriore da una tunica. Il calco fu lasciato nella sua posizione originaria direttamente sul lapillo. Altre due vittime furono trovate poco lontano, tra porta Nocera e la torre II della fortificazione: un adolescente steso sul fianco sinistro, le gambe piegate in avanti con tracce di tunica sulla schiena e sull’addome e delle suole dei sandali; e un adulto riverso sul fianco destro con braccia e gambe piegate, tracce della tunica e della suola del sandalo sinistro.
L’ultimo calco di questo gruppo era un ragazzo di età compresa tra i 7 e i 19 anni, inizialmente interpretato da Maiuri come un uomo anziano, adagiato sul fianco destro, che conserva l’impronta di un tessuto sottile sul mento, mentre ai piedi indossava sandali con lacci. Le tracce nel calco di un bastone, di una ciotola di legno e di una bisaccia, leggibile in un rigonfiamento sul lato sinistro della vittima, hanno fatto pensare che si trattasse di un mendicante.
INTERVENTI DI MANUTENZIONE
Le attività hanno in particolare riguardato la creazione di un accesso sicuro al sito, un riallestimento dello spazio espositivo con l’inserimento di nuove balaustre in ferro e l’alleggerimento dei pannelli di protezione esistenti eliminando le grate che costituivano una limitazione visiva delle opere, dei pannelli è stato lasciato solamente il telaio metallico adattato all’alloggiamento di nuovi elementi vetrati, ultra-chiari e di sicurezza, per una migliore percezione dell’insieme e dei dettagli dei corpi, fino alla manutenzione delle coperture esistenti.
“Una particolare attenzione – viene spiegato nel comunicato – è stata dedicata ai calchi in gesso che risultavano fortemente compromessi dal peculiare luogo di esposizione; il contatto diretto con lo strato di terreno di giacitura, primaria in un caso e secondaria negli altri, aveva causato fenomeni diffusi di deterioramento imputabili all’umidità ascensionale. È stato quindi eseguito un intervento conservativo finalizzato ad isolare il manufatto, evitandone il contatto diretto con il sottostante terreno tramite un’operazione complessa di inserimento di un interposto un pannello alveolare in alluminio di isolamento tra il manufatto e il suo strato di giacitura. Anche in questo caso, la manutenzione si configura come un atto dovuto di cura costante per la risoluzione di problematiche conservative insite di un contesto archeologico”.