Produci, consuma, crepa. Così nel 1985 la band CCCP tracciava un disegno lungimirante di ciò che sarebbe stata la società per i successivi quarant’anni: così, nel 2024 un pubblico di età variegata si ritrova al Teatro Diana di Nocera Inferiore lo scorso 22 Marzo per assistere al debutto nell’agro nocerino-sarnese dello spettacolo “Solo quando lavoro sono felice”, nell’ambito della rassegna “L’Essere e l’Umano” di Artenauta Teatro. Un titolo eloquente per una commedia nera dal sapore catartico che racconta di quanto la società si sia presa in giro, per l’appunto, negli ultimi quarant’anni.
In scena Lorenzo Marangoni, attore, scrittore e content creator, e Niccolò Fettarappa, autore, regista e dottore in filosofia. A volte si dice che quando si porta in scena se stessi, o comunque qualcosa di molto vicino alla propria quotidianità, non si sta facendo del vero teatro perché il teatro è anche abbandono del sé, ma se c’è qualcosa che hanno insegnato i commediografi dell’antichità è che il quotidiano è talmente assurdo da poter essere portato in scena con poche, strategiche esagerazioni. “Solo quando lavoro sono felice” è uno spettacolo teatrale con echi di stand-up comedy soprattutto nella grande interazione con il pubblico, che è chiamato ad essere complice perché per quanto sia comodo farsi “comprare” dalla narrazione che sembra credere che “tutti” debbano uscire vincitori nella vita (senza però svelare alcuni fondamentali trucchetti del gioco del successo, quali ad esempio patrimonio di famiglia e corretto sfruttamento delle proprie conoscenze più influenti). Lo spettacolo, però, è uno spettacolo per i “perdenti” che il venerdì sera vanno a teatro anziché fatturare o rispondere alle mail di lavoro, è uno spettacolo consapevole di essere per perdenti e che soprattutto invita i perdenti anche solo a sognare di bussare alla porta dei “vincenti” prevaricatori per urlare loro in faccia la metà di quello che meritano di sentire.
C’è una metafora utilizzata, quella dei grattacieli e delle frittate, che crea nella mente un’immagine precisa: chi da un grattacielo si lancia, finendo per diventare frittata, in virtù del fatto che non è riuscito a diventare grattacielo. Quello che per l’economia mondiale è stato vissuto come un trauma, cioè la finestra temporale delle “Grandi dimissioni”, che in Italia arriva nel 2022 ad un 26% di dimissioni dei lavoratori under 40 secondo un’indagine di Repubblica, viene rovesciato su se stesso e quasi celebrato come un tentativo di riprendersi un proprio spazio nel mondo.
Sul mondo del lavoro legato all’intrattenimento – e all’informazione legata all’intrattenimento – c’è un’ombra ancora più pesante che grava, quella del “ma di lavoro vero cosa fai?”. Si crea così un’intera classe di lavoratori sbeffeggiati e malpagati perché hanno la presunzione di poter creare qualcosa che in realtà serve anche ai manager, che sicuramente hanno avuto poca rappresentanza nel pubblico di “Solo quando lavoro sono felice” ma sono certamente tra i 260,28 milioni di spettatori di Netflix del 2023, una piattaforma su cui sta approdando da qualche anno anche il teatro di stand-up.
Lo spettacolo non vuol essere, chiaramente, un tentativo di forzare la mano su nessun aspetto economico di chi ha il contratto dalla parte del manico. Ma vuol essere una riflessione divertente e catartica sul fatto che forse, al netto delle sciagure, sapere di non essere gli unici a lottare per poter vivere una vita che possa essere definita tale può aiutare a trovare nell’altro e nella consapevolezza comune uno sprone al non calpestare il prossimo per pochi spicci e un titolo nella firma mail, e a non farsi calpestare per le stesse ragioni.