Capitolo settimo
La paura
Avevo paura. La verità era questa: non sapevo cosa sarebbe successo e l’ignorarlo mi destabilizzava enormemente. Non avevo nessuno con cui parlarne a cuore aperto, a parte il diretto interessato, che però aveva le mie stesse paure. Solo quando mi ritrovavo tra le sue braccia, anche in silenzio, mi sentivo serena, libera di ridere, piangere, fare qualsiasi cosa. L’attrazione fisica non era la molla che mi faceva scattare, io per lui provavo un altro tipo di sentimento: volevo solo che fosse felice. Mi aveva portato sulla tomba di sua madre ed io le avevo promesso di renderlo felice in un modo o nell’altro. Non era la passione fisica che cercavo: quest’ultima per me non era fondamentale adesso. Dovevo amare quest’uomo senza perdere la stima di mio figlio: il mio compito era fargli capire che ormai ero stufa del totale disinteresse di suo padre nei miei confronti e non potevo continuare ad accontentarmi di un matrimonio squallido, senza dialogo e senza fiducia. Non era stata colpa mia, bensì di suo padre, quello che era ancora mio marito.
Ma c’era un altro particolare da non sottovalutare: L’uomo che pensavo di amare avrebbe dovuto darsi una mossa, trovarsi un lavoro dignitoso, dimostrare che non era un buono a nulla ma che con la spinta del mio amore avrebbe riconquistato la dignità di uomo e cambiato vita. Senza questo cambiamento repentino e radicale la nostra storia era destinata a morire, presto.
Magari si sarebbe rassegnato all’idea di perdermi, chi lo sa.
L’amore è per gli esseri coraggiosi, per i cuori forti. L’amore è fatto d’onestà e di sincerità, oltre che di sesso e divertimento: bisognava dimostrare di meritarselo quest’amore, non a chiacchiere, ma coi fatti.
Sarei restata a guardare come quest’uomo che diceva di amarmi avrebbe spiccato il volo, come mi avrebbe dimostrato di tenerci a me. In caso contrario non avrei potuto presentarlo ai miei, cosa potevo raccontare loro? Che mi ero innamorata di uno che non aveva né casa né lavoro? Il lavoro porta dignità all’essere umano ed io stessa lo sapevo bene, avevo lasciato tutto per trovare un lavoro vero, sicuro. Ora lui doveva dimostrare altrettanto, prima a se stesso, poi a me e ai miei. Se pure ci fossimo lasciati gli sarebbe rimasta la sua nuova vita, più lineare, lecita e dignitosa. Non importava la mia presenza perenne o eterna nella sua vita: era invece fondamentale che lui si riscattasse. Aveva sofferto abbastanza, non vi era più tempo per autocommiserarsi ed arrabbiarsi con Dio, la politica, la sfiga. Lui era un leone nell’animo e doveva semplicemente ruggire di nuovo. Era diventato afono. Io gli avrei ridato la voce.
Ero al lavoro ma non riuscivo a far altro che pensare a lui, ai minuti che ci dividevano prima di incontrarci come ogni giorno, clandestinamente. Sì, perché nonostante mio marito e miei figli ed io suoi amici sapessero del nostro amore, non volevamo creare gossip, scandali o altri problemi. Eravamo pieni fino al collo di difficoltà da superare.
Intanto l’autunno era inoltrato e a breve sarebbe arrivato il Natale. Al solo pensiero di tornare a casa mia senza di lui e restare dieci giorni senza vederlo mi sentivo mancare le forze. Ma com’era possibile? Avevo promesso a me stessa più di sette anni fa che non mi sarei innamorata di altri uomini e invece, senza volerlo, senza cercarlo, era accaduto.
Annalisa Capaldo