Capitolo dieci
Fino alla vittoria
Dovevamo ritornare su, in Lombardia, dopo aver battuto anche il Covid, che era riuscito ad intrufolarsi nei nostri corpi. Questo virus aveva di sicuro cambiato le nostre vite e si protraeva da due anni ormai: l’unica speranza che nutrivo era che però adesso non mi sarei sentita più sola, abbandonata, depressa, ansiosa. Potevo risolvere i dilemmi lavorativi, le insidie del capo, le ingiustizie provenienti da tutti i fronti. Con il mio partner vicino avrei potuto superare ogni ostacolo, a patto che lui avrebbe continuato ad essere sincero, presente, amorevole. Io ce l’avrei messa tutta, come al solito, pur facendo il conto alla rovescia per il ruolo del 2022 ed il fatidico trasferimento del 2023. Il più era fatto, ma in cauda venenum, dicevano gli antichi. Avevo scritto questo breve racconto autobiografico, continuavo a pubblicare articoli e poesie per il giornale, una volta ritornata nella mia terra, magari, avrei potuto ricominciare a fare politica attiva (accantonata per tanti anni a malincuore).
Ma l’aspetto più importante era riprendere a credere nel mio matrimonio, che tante ne aveva viste, che tante ne doveva ancora vedere; eravamo più consapevoli io e mio marito, ora avevamo aperto i nostri cuori a vicenda, ci eravamo detti tutto, senza più segreti, senza mezzi termini, eravamo invincibili adesso. Quale coppia poteva vantare una simile forza? La forza ineluttabile della sincerità, del dialogo cristallino, del sesso autentico, della complicità che finora non era mai stata così totale e vera.
Avevamo un lavoro, due figli, progettavamo di comprare una casa, un futuro migliore per la nostra prole; anche gli animali che tanto amavo avrebbero allietato la nostra vita.
E il mio alter ego? Che fine aveva fatto l’uomo del Nord che tanto mi aveva sconvolto? Aveva rappresentato solo un chiaro esempio per far capire una volta per tutte a mio marito che stava per perdermi e che non ne sarebbe valsa la pena. Una persona che non si dava da fare per cambiare la propria condizione di vita, che a 50 anni si arrangiava con lavoretti, anche illegali, che viveva senza una casa, senza una dignità, non meritava la mia stima, figuriamoci il mio amore. Una donna come me non avrebbe mai potuto dargli una chance perché i disfattisti, le vittime, i falliti non mi erano mai piaciuti. I miserabili di Zola potevano solo entrare a far parte di un mio romanzo, ma non della mia quotidianità. Non rimpiangevo nulla, al contrario: senza la conoscenza di quest’uomo e dei suoi amici non avremmo capito, sia io che mio marito, cosa stessimo compromettendo o addirittura perdendo. Diamanti al posto del letame, senza offesa e senza denigrare nessuno. In fondo ognuno della propria esistenza era libero di farne ciò che più desiderava, no?
La realtà mi appariva così chiara e nitida, ora: era bastato allontanarsi qualche settimana per guardare le cose con lucidità ed obiettività. I miei figli ed il mio matrimonio non sarebbero più stati messi a repentaglio o in discussione. Saremmo stati davvero felici, perché più onesti con noi stessi, più consapevoli: avevamo un progetto comune e dei sogni da realizzare.
Il sole mi abbagliava, quasi non ero più abituata ai suoi raggi, al suo calore: proprio io che ero sempre stata una persona luminosa e carnale. La mia conclamata passione per le cose belle si sarebbe rinnovata. Bisognava tener duro un altro annetto, ne erano passati quasi quattro: ci sarei riuscita, ci saremmo riusciti perché avevamo acquisito una forza che non avevamo mai avuto e non ci sarebbero stati più dubbi e ripensamenti su questo.
Le parole chiave sarebbero state: DIALOGO, SINCERITA’ E AMORE: abbinando a queste cose un lavoro sicuro e l’agognato ritorno a casa, tra la nostra gente, nella terra natia, bella, assolata e circondata dal mare, non avremmo conosciuto la disperazione assoluta ed avremmo finalmente raggiunto le colline d’oro, come spesso auspicava il mio prof. di filosofia al Liceo.
Gli amici di sempre, la mia famiglia avrebbero quasi cancellato i momenti terribili della mia vita da esule, i dubbi che tanto erano serviti per farci capire dove risiede il buono, il giusto.
In fondo all’ uomo che avevo per breve tempo concesso il mio cuore non interessava neppure essere mio amico, era più contento di perdermi che avermi come presenza costante nella sua squallida e pietosa esistenza, che probabilmente non sarebbe mai cambiata. Quindi non avevo perso nulla, ma guadagnato e fatto guadagnare alla mia famiglia.
Per fortuna eravamo ancora in tempo, non era accaduto nulla d’irreparabile e soprattutto non avevo nulla più da nascondere.
Annalisa Capaldo