♥Capitolo dodici
Il Fato e i dubbi
Erano trascorsi ormai quasi due anni dall’ Addio ai monti, dal mio allontanamento volontario da Trezzano sul Naviglio ed ora vivevo nel paterno ostello assieme a mia madre e alla mia famiglia. Eravamo in sei sotto un tetto e dopo un periodo di ambientamento non proprio semplice avevo raggiunto quello che mi sembrava un equilibrio precario.
La paura più grande era stata la nuova vita che avrebbero dovuto affrontare i miei due figli adolescenti, ma come al solito si erano adeguati meglio loro che io. Certo i disagi legati alla scuola, ai trasporti e alla sanità del Sud non mancavano mai e spesso avevo rimpianto la diversa visione del mondo del Nord Italia.
A Milano la mentalità quasi europea piaceva sia a me che a loro e se non fosse stato per la vita oltremodo cara e per la carenza di affetti radicati non saremmo mai tornati giù.
Ecco, anche il cibo, il clima, la mancanza del mare non ci avrebbero impedito di restare su, dal momento che qui tante cose, troppe, ci stavano strette. Certamente nelle condizioni attuali, con un bambino di quasi venti mesi al seguito, la primogenita in procinto di intraprendere gli studi universitari e il secondo le superiori, era tutto più complicato. Le incognite riguardavano nuovamente anche la condizione lavorativa mia e di mio marito, che era stato costretto a trovare un nuovo impiego.
Io, invece, mi trovavo ad un bivio e i nervi ne risentivano: sarei rimasta nell’ orbita della scuola o no? Non sapevo cosa mi stesse prospettando il prossimo futuro e ne ero quasi tramortita. Mi sembrava di non avere più quelle certezze per le quali avevo tanto lottato e sofferto. Insomma oltre al danno la beffa.
Il Fato muove noi burattini sulla terra o siamo noi gli unici artefici del nostro destino? Non avevo mai creduto alla dea bendata ma qualcosa mi faceva pensare che un motore immobile aveva sempre architettato la mia vita e non mi restava che lasciarmi trascinare dal suo volere, lottando ma prendendomi una pausa per curare la mia mente, vacillante e annebbiata.
Il bambino, il canto degli uccellini, la bella stagione alle porte mi avrebbero dato le risposte che chiedevo, quel motore immobile in cui mi sforzavo di credere ancora una volta mi avrebbe aiutato a rialzarmi?
Del resto, Sacco e Vanzetti a parte, coloro che hanno ragione, che sono nel giusto, non dovrebbero essere assolti e premiati?
Il problema era proprio questo: qual era la strada giusta da seguire? Quali le alternative?
In tutto questo marasma di paure, di pensieri negativi, di ansia atroce mi ritrovavo nuovamente sola, senza l’ appoggio di un coniuge che qualche anno fa aveva promesso mari e momti e che ora era poco più che un convivente forzato.
Ripensavo agli ultimi anni della mia vita e una strana forma di agitazione s’impossessava di me facendo crollare quelle poche certezze segretamente costruite.
L’odio represso, la rabbia, l’incertezza mi tenevano in una specie di limbo che solo il sonno rendeva meno tormentato e insopportabile.
Annalisa Capaldo