Figlio della musica degli anni 80, di quella urlata e contestatrice dei Clash e dei Sex Pistols, trovo enorme difficoltà a nuotare in quello che è il mare magnum musicale odierno. La nuova generazione, quella di Tik Tok, dei socials e della musica sulle piattaforme digitali ascoltata distrattamente e masticata in fretta, è da tempo indirizzata all’ascolto di testi cadenzati e veloci, a volte duri e crudi, recitati e strascicati su tappeti musicali fatti artificiosamente mentre si
addenta una baguette. Nulla di visceralmente interessante, solo una schiera di ragazzini animati da odio e desiderio
di fama, visibilità e soldi facili. Alienante e inaccettabile, per chi come me è abituato ad ascoltare la musica seduto, in
comodità e in silenzio, magari in compagnia, così come eravamo soliti fare quando qualche amico acquistava un disco nuovo: tutti riuniti all’ascolto per afferrare il pathos dell’artista, la dimensione sensoriale del messaggio sonoro. Sono anni che, orfano dei Clash, mi accontento di quello che il panorama musicale post rock offre, così come un vecchio iscritto al PCI vaga nella politica odierna italiana, senza trovare pace. Io sono stato più fortunato, perché,
a differenza del vecchio “compagno” disorientato, sono riuscito a trovare dei riferimenti musicali a cui aggrapparmi per sollevarmi lo spirito e l’anima. E’ il caso dell’ultimo lavoro di Billie Joe Amstrong e soci, Saviors, uscito qualche mese fa. Mi siedo, parte il primo brano, The American Dream Is Killing Me e piano piano si manifesta e si concretizza la comfort zone del punk rock. E’ una coperta calda che ti avvolge e ti fa sentire vivo. L’album è davvero forte. La band ci ha abituato alla disinvoltura con la quale affronta temi seri, con testi impegnati, e temi più scanzonati, con estremo sarcasmo. Saviors scivola via, un brano dietro l’altro: si apprezza la melodia, che è
la forza di questa band. Si alternano brani da power trio, dinamici, veloci e ballads, un marchio di fabbrica che non può mancare in ogni album dei Greenday. Saviors mi fa riappacificare con la band, che, dopo l’esperimento della trilogia spagnola, finalmente è ritornata ai suoi standard qualitativi. E’ un disco maturo di una band che calvaca i 30 anni di carriera artistica. Brani da segnalare: Coma City, Saviors, la “nirvaniana” Bobby Sox e la ballad Father To a Son. Che dire, un album da ascoltare e apprezzare per intero, un disco che, a mio giudizio, ha il pregio di ricordare alle nuove generazioni che, basso, chitarra, batteria e una buona voce, sono ancora capaci di regalarci emozioni.
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