“Sono trascorsi quasi 26 anni dall’ultima ordinazione episcopale di un membro del clero salernitano e precisamente dell’acernese, monsignor Michele De Rosa, nominato Vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’Goti – ha esordito Sua Eccellenza Monsignor Bellandi – L’evento di oggi, dopo così tanto tempo, è da leggersi quindi, anzitutto, come un segno di particolare attenzione e affetto che il Santo Padre ha tributato, con l’elezione di don Alfonso, alla nostra chiesa locale, custode delle spoglie dell’apostolo ed evangelista Matteo. E, al tempo stesso, rappresenta un’ulteriore espressione della sua cura pastorale verso tutte le chiese e i suoi Pastori – pro bono fidelium – affinché il Vangelo di Cristo possa essere annunciato con sempre maggiore efficacia e capillarità”.
Nell’omelia, l’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno prosegue: “La lettera di San Paolo apostolo a Timoteo, che è stata prima proclamata, ci ricorda il senso e l’orizzonte autentico del Ministero Episcopale, inserito nella successione del ministero apostolico. Paolo ricorda al confratello Timoteo – da lui stesso ordinato vescovo – di dare testimonianza al Signore non con uno spirito di timidezza, bensì di forza carità e prudenza. Come Paolo, anche Timoteo è stato così costituito messaggero, apostolo e maestro e come lui chiamato perciò a donare tutta la vita per rendere testimonianza al Signore e al suo Vangelo, non temendo anche le inevitabili sofferenze e incomprensioni che tale testimonianza potrà comportare, affidandosi unicamente alla grazia divina. Egli infatti – ricorda ancora San Paolo – ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia”. Sua Eccellenza Monsignor Bellandi, dunque, ha citato un breve passaggio tratto dal Discorso rivolto da Papa Francesco ai sacerdoti e consacrati nel suo recente viaggio a Verona, per ricordare la necessità di “accogliere la chiamata ricevuta, accogliere il dono con cui Dio ci ha sorpresi. Se smarriamo questa coscienza e questa memoria, rischiamo di mettere al centro noi stessi invece che il Signore; senza questa memoria rischiamo di agitarci attorno a progetti e attività che servono più alle nostre cause che a quella del Regno. Rischiamo di vivere anche l’apostolato nella logica della promozione di noi stessi e della ricerca del consenso, cercando di fare carriera, e questo è bruttissimo, invece che spendere la vita per il Vangelo e per un servizio gratuito alla Chiesa”, ha aggiunto.
“Il cammino del discepolo non può essere diverso da quello del divino Maestro obbediente al Padre, così che il Vangelo deve essere annunziato sempre, in ogni circostanza, opportuna e non opportuna, come ancora Paolo scriverà più avanti in questa lettera al discepolo. E’ questo il nostro primo dovere come vescovi: annunciare agli uomini e alle donne del nostro tempo la luminosa verità di Cristo e proporre la gioiosa esperienza della comunione nella chiesa, con la gioia del Vangelo e la libertà, la franchezza, la parresia della testimonianza”, continua S.E. Monsignor Bellandi, rivolgendosi poi direttamente a Monsignor Raimo. “Le forme con cui dovrà esprimersi il tuo Ministero Episcopale, caro don Alfonso, sono ulteriormente illuminate dal rito dell’ordinazione che andremo a svolgere. Sono forme che troveranno esplicitazione, in particolare, nel dialogo a cui tra poco ti inviterò: fedeltà alla successione apostolica, annuncio evangelico, custodia del deposito della fede, comunione ecclesiale con me e con gli altri Vescovi sotto la guida del Successore di Pietro, cura del popolo cristiano e dei suoi ministri, accoglienza dei poveri, ricerca di quanti sono dispersi, costanza nella preghiera. Sarà questo il tuo esercizio quotidiano, che sarà sostenuto dalla fraterna collaborazione con me e, mi auguro, dall’affetto e stima del nostro Presbiterio, insieme all’esempio di fede, speranza e carità che la nostra gente riesce sempre in abbondanza a comunicarci e al quale in, spirito di sinodalità, noi Pastori siamo chiamati incessantemente a guardare”. Dopo aver espresso alcune riflessioni sul testo del Vangelo di San Matteo ascoltato, in merito, in particolare, all’umiltà quale necessaria disposizione d’animo che deve guidare i nostri passi, l’Arcivescovo ha confermato che Monsignor Raimo continuerà ad essere il suo primo collaboratore nella guida dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, ma “da oggi nella tua nuova dignità episcopale. Lascia che – insieme a quelle della fede e della carità – sia la virtù della speranza a guidarti e sostenerti, questa virtù che hai voluto richiamare tanto nel tuo motto episcopale (la speranza poi non delude), quanto nello stemma, attraverso l’immagine dell’àncora, presente nella Lettera agli Ebrei. Infatti, come l’àncora tira e tiene salda la nave anche in mezzo a un mare tempestoso, così – scriveva il poeta Pèguy – la piccola speranza tira la fede e la carità. E’ piccola e umile, ma è lei che fa camminare, perché il suo fondamento è ciò che di più fedele e sicuro possa esserci: l’amore che Dio stesso ha riversato nei nostri cuori”, ha concluso.
A seguire, dunque, la Liturgia dell’Ordinazione, gli impegni pronunciati dall’Eletto e la consegna del Libro dei Vangeli, dell’Anello, della Mitra e del Pastorale.
Visibilmente emozionato, Monsignor Raimo: “Ho cercato invano di raccogliere e ordinare pensieri sparsi che in questi giorni affollano la mia mette e si rincorrono confusamente, suscitando sentimenti spesso contrastanti. A rendere più solido il timore che è andato crescendo con l’avvicinarsi della data odierna, le parole del cardinale Martini il quale affermava che quando uno è stato chiamato al ministero della presidenza episcopale, viene posto in qualche modo sopra un candelabro e deve dare il buon esempio a tanti, soprattutto ai sacerdoti. Mi è di conforto la prospettiva di poter continuare a servire la Chiesa che è in Salerno-Campagna-Acerno in continuità con quanto ho cercato di fare nei miei 34 anni di vita sacerdotale, soprattutto in questi ultimi 4 anni in qualità di Vicario Generale della Arcidiocesi. – ha detto – Ringrazio di cuore il nostro Arcivescovo Monsignor Bellandi di avermi offerto questa opportunità, riponendo la sua fiducia in uno sconosciuto, e ancora di più per avermi confermato nel servizio dopo avermi conosciuto. Se nel primo caso ha chiuso un occhio, nel secondo li ha chiusi entrambi”, ha aggiunto sorridendo.
“In questo tempo è stato motivo di disorientamento ed imbarazzo, cari confratelli, il dato che spesso è emerso dal giorno dell’annuncio della mia nomina, da parte del Pontefice, relativo agli anni trascorsi dall’ultima consacrazione episcopale di un presbitero della nostra arcidiocesi. Mi accompagna da allora il ricordo di tanti sacerdoti che per attitudine pastorale, profondità di dottrina e santità di vita sarebbero stati più degni di stare al mio posto. La domanda sorge spontanea. Perché a me? Consapevole dei miei evidenti limiti e delle fragilità emerse nel corso dei tanti anni di vita sacerdotale e di impegno pastorale, posso sinceramente confessare che non ho mai desiderato l’Episcopato. Pur sforzandomi nel ripercorrere con la memoria i miei impegni passati non trovo meriti, o, almeno, non ne trovo più dei miei confratelli sacerdoti. Il cardinale Martini in un celebre libretto dedicato all’Episcopato scrisse: tra gli uomini esiste una debolezza chiamata ambizione dalla quale è importante sapersi difendere il più possibile. Pregate per me perché l’ambizione che mi è mancata non assuma le fattezze della presunzione e della ostentazione. Non trovo in me alcun merito (spero di non peccare di falsa modestia) e dovendo trovare un motivo di tale elezione, trovo conforto nelle espressioni utilizzate da S. Leone Magno: Egli, affinchè io molto lo ami, mi ha perdonato molto: e per mostrare mirabile la sua grazia ha elargito i suoi doni a colui nel quale non ha trovato titoli di speciale merito. Se proprio un merito devo trovarlo non lo trovo in me, ma in tutti coloro che nel corso della mia sacerdotale mi hanno sostenuto con la costante preghiera, incoraggiato, perdonato, soprattutto i membri della tre comunità parrocchiali che mi sono state affidate e a cui è stata affidata la cura e la crescita del mio Ministero – incalza Monsignor Raimo- Continuate a pregare perché non cada su di me il rimprovero di S. Gregorio Magno il quale biasimava l’ignavia di alcuni che, pur avendo assunto l’ufficio sacerdotale (in questo caso episcopale), non compiono le opere che l’ufficio comporta”.