Qualche giorno fa mi sono fatto “incastrare” da alcuni amici che, conoscendo la
mia vena artistica e musicale, mi hanno invitato alla performance artistica del
loro pargolo. Una sorta di festival per giovani promesse, una rassegna musicale
improntata sul linguaggio sonoro del mondo giovanile: il trap. Un genere
musicale non facile da descrivere. Di base è musica elettronica fondata su
ritmiche molto ricche di bassi. Bassi tendenti a frequenze sub molto pesanti: in
termini pratici, quelle botte sonore che ti arrivano allo stomaco e fanno tremare
gli organi interni, anche quelli più reconditi e pacifici. A parte questi suoni
ritmici, gli arrangiamenti e le armonie sono molto minimali, quello che conta
sono i bassi che spaccano e melodia ripetitiva a loop. Il cantato è basato sulle
rime, se si tratta di rap classico. Nel trap, invece, c’è una sorta di mix tra parlato
e cantato. Sulla voce non poteva mancare l’uso dell’autotune, un effetto che
intona la voce in tempo reale, cambiando il timbro vocale tra il metallico e il
robotico. Questo espediente, usato anche da artisti famosi, sia live che in studio,
rende cantante un asino ragliante. Ma non siamo qui a giudicare.
I testi di questi brani, sparati con una velocità da mitraglia, si legano a tematiche
come droga, soldi, fama, successo, sesso: parole spesso pesanti e violente.
Da un punto di vista sociologico è chiaro che queste generazioni stanno
attraversando una epoca di grandi incertezze e di disagio, per cui sfogano il loro
malessere nel linguaggio musicale preferito. E’ generazionale. Ogni generazione
ha avuto la sua epoca e i suoi linguaggi: dai figli dei fiori degli anni 60, fino ai
trapper nella modernità. Per questo motivo sono andato a vedere questo
festival, curioso di ascoltare cosa avesse da dire questa generazione: quali le
speranze, quali le preoccupazioni raccontate nei testi. I giovani artisti si
alternano sul palco, sostenuti dalla loro claque di amici e famigliari. Io ascolto
senza dire una parola. E’ il turno del pargolo dei miei amici. Durante l’ esibizione
ho visto gli occhi dei genitori colmi di emozione e gioia. Si girano spesso verso di
me con lo sguardo, attendendo un mio cenno di approvazione. Non volendo
ferire l’animo di nessuno e non volendo rovinare questo momento catartico, mi
sono limitato a porre una semplice domanda: che cosa dice il testo?
La risposta è stata disarmante: non lo so, non ci capisco niente. Quindi non solo
il solo, non mi sono rincoglionito, non solo l’unico boomer che non capisce il
testo, con tutto l’impegno possibile e immaginabile. Allora ho fatto un
sondaggio al volo tra gli spettatori: qualcuno di voi ha capito una parola di
quello che hanno “cantato” questi ragazzi fino ad ora?. La risposta è stata
unanime: NO!.
Quindi, questi ragazzi esprimono le preoccupazioni e i malesseri della loro
generazione senza essere compresi. Il messaggio non arriva, restano inascoltati.
Il fatto è grave. Deve esserci un modo, un sistema che faccia arrivare a tutti il
messaggio di questi ragazzi, a prescindere dal giudizio. Ho riflettuto a lungo. Poi
ho pensato alla lirica: eureka! Il Trovatore, Il Rigoletto, Il Nabucco, La Gazza
Ladra….. etc cosa sarebbero senza il libretto? Un po’ come un brano trap:
incomprensibile ai più. Allora perché non allestire dei libretti anche per la
musica rap/trap e affine? Comprendere le nuove generazioni sarebbe più facile
e semplice. Un modo per dare libera espressione artistica anche a grafici e
illustratori. Scrivere i libretti della lirica, in un lontano passato, era un lavoro che
dava sostentamento a molti artisti, come Arrigo Boito, uno dei massimi
esponenti del movimento della scapigliatura. Nel 1868 Boito è stato autore dei
libretti per il dramma lirico Otello e per la commedia Falstaff su musica di
Giuseppe Verdi. In questo modo creiamo lavoro e diamo voce a questa
generazione inascoltata. Come diceva Renzo Arbore in una pubblicità di una
nota marca di birra: Meditate gente, meditate….