La celebrazione del funerale di Salerno giunge a termine. È stato un momento forte, impregnato di commozione, emozioni, dolore, preghiere. Prima della benedizione finale, sorretto da un confratello, un anziano sacerdote, sale sull’Altare per dire una parola.
È il confessore di Wilma Fezza e Mario Valiante, i coniugi salernitani che, qualche giorno prima, hanno perso la vita in un orribile incidente stradale. Erano due avvocati ancora giovani, impegnati nel sociale e nella lotta per i diritti dell’uomo. In città erano stimati e benvoluti. La loro morte, fulminea, devastante, ha scosso l’intera comunità. Le famiglie sono distrutte.
La chiesa è gremita. Sul sagrato, coloro che non hanno trovato posto tra le navate, attendono la fine della Messa per l’ultimo saluto. Il vecchio prete fa fatica a parlare. È malato, deambula sorreggendosi a un carrello, ma, soprattutto, si nota che è emotivamente coinvolto. Non era un semplice amico dei defunti. A lui, Wilma e Mario, per anni, hanno aperto l’animo, permettendogli di scendere in quegli abissi dove essi stessi non avrebbero potuto.
Il rapporto che si crea tra il penitente e il padre spirituale non si può facilmente raccontare. I due sono – come dire – legati a un doppio filo. Il penitente sa di poter, a qualsiasi ora del giorno e della notte, bussare alla sua porta e riversare sul suo cuore i peccati, i dubbi, le ansie, le paure che lo affliggono. Il confessore sa di dover essere attento alla voce dello Spirito per consigliare, indirizzare, discernere. Di suo, don Antonio non dice molto.
Sceglie, invece, di far parlare loro, i defunti. Mario stava combattendo contro il cancro. Era stato operato. Pochi giorni prima di morire, scriveva: «Don Antonio caro, la malattia mi ha scatenato un’ostinazione, tirando fuori tutta la forza nascosta. Dentro il tunnel della tac, della bet, della risonanza magnetica, ho avuto come luce Gesù. Dopo l’operazione ho dovuto imparare di nuovo a respirare, mangiare e camminare. Mi sono sentito, a un tratto, vulnerabile, scalfito nelle mie certezze». Gesù, luce nel tunnel. “La tua Parola è lampada ai miei passi, luce sul mio cammino”.
Gesù, datore di forza e di speranza. “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” La malattia portatrice di sconforto e di dolore ma anche ostinata cercatrice di forze nascoste. “Anche se vado in una valle oscura non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Ma come vive Wilma il doloroso calvario che l’amato sposo sta salendo? In che modo riesce a condividerne la sorte? Eccola, ancora una volta, fare ricorso al prete di cui si fida: «Caro don Antonio, sento il bisogno, in questo periodo, di riposare, non il corpo, bensì il cuore. La malattia di Mario mi ha completamente assorbito.
Mi sembra di essere diventata madre di un figlio cresciuto in anni ma ritornato bambino». Continua, lei che non ha potuto gustare la gioia della maternità: «Non so come siano i dolori di una madre che partorisce, in questo periodo l’ho imparato… Probabilmente Mario ti ha detto che ha dovuto imparare a camminare, a mangiare, a muoversi. Io ti dico che ho imparato ad amare. Sono due cose semplici, imparare a camminare e imparare ad amare, quando ci s’ impegna. Io ho voluto impegnarmi perché penso sia la cosa più bella quella di amare».
Che lezione di vita. Imboccando, sabato mattina, l’autostrada per Salerno e poter prendere parte al funerale di questa coppia, parente di un caro amico, chissà, magari avrò pensato di dover compiere un dovere. Il dovere di un prete che corre a dare conforto a un amico sul quale si è abbattuta una tragedia immane. Forse come me tanti altri presenti alla celebrazione avranno pensato la stessa cosa. Non sapevamo, non potevamo sapere, invece che stavamo andando a prendere parte a una altissima lezione di vita. Wilma e Mario hanno lasciato a tutti, parenti e amici, il loro testamento spirituale. Rileggiamolo. Meditiamolo. Facciamone tesoro. Mettiamolo in pratica.
don Patriciello su L’Avvenire