Non userò paroloni, sarò concisa il più possibile nel trattare un argomento apparentemente banale ma tra i più ostici e delicati.
Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo: non si hanno ricette omologate valide per tutti, non si smette mai di sbagliare e di imparare, di imprecare contro se stessi e sul chi me l’ha fatto fare, gioire in silenzio, di notte, per un traguardo raggiunto dal proprio figlioletto.
È il lavoro più difficile del mondo perché lo si dovrebbe fare in due, mamma e papà, seguendo la stessa visione del mondo e i medesimi valori, la stessa linea di condotta insomma: questo non sempre accade e le vere vittime sono sia i figli che i genitori.
I figli sono tutti differenti l’uno dall’altro, vuoi per diverse abilità, vuoi per indole, e quindi il modo in cui hai insegnato la tal cosa al primo, probabilmente, non sarà buona per il secondo o per il terzo: il primo impara in un modo, il secondo in un altro, il terzo forse non vuole imparare affatto.
I genitori non sempre seguono lo stesso metodo comune e questo porta all’instaurarsi di gravi conflitti di coppia e familiari e i figli scelgono sempre il genitore più accondiscendente, ma anche più deleterio e fuorviante: la madre mette in castigo di pomeriggio e il papà scagiona la sera!
A volte queste divergenze pedagogiche portano i figli a diventare violenti ed offensivi, a credere di poter fare o dire qualsiasi cosa, a porre fine al matrimonio e alla famiglia che ne è scaturita.
Spesso noi madri siamo solite esortare il marito a fare il padre, ad essere autorevole, a far rispettare la figura di madre, ma vedendo la solita superficialità, il fare spallucce, arriviamo ad offenderlo, ad esiliarlo per la sua inutilità, a lasciarlo.
Ma chi può voler bene ai propri figli più di un genitore? Perché allora non riusciamo a farci ascoltare, rispettare ed amare?
Di recente ho letto una lettera di una madre su una rivista patinata che faccio mia:
Ho tre figli e 45 anni suonati, la primogenita è abbondantemente maggiorenne, il secondogenito prossimo alle scuole superiori, il terzo, poco più che un infante: di fallimenti ne ho accumulati parecchi, mi sento responsabile del loro modo di fare e di pensare, ma soprattutto mi pervade un odio profondo verso un padre assente anche se presente, sempre pronto a fargliele passare tutte, a comprare coi miei soldi ciò che chiedono, a farli sentire in diritto di mancarmi di rispetto.
Pensieri orribili, simili a quelli della Medea di Euripide, mi attanagliano e confondono. L’odio fa perdere lucidità ed è una cosa che proprio non mi va giù.
Molti chiedono aiuto agli psicologi, ai pedagogisti, agli assistenti sociali, ma io credo sia tutto inutile se in partenza i genitori non siano d’accordo riguardo all’educazione condivisa dei figli.
Nei momenti di sconforto più atroci si finisce col pensare di aver sbagliato tutto, dalla scelta del partner al concepimento dei figli e quasi s’invidia chi non si è mai sposato o non ha fatto figli, o al massimo un paio ( le coppie più lungimiranti sembrano quelle con il figlio unico ). Ovviamente queste sono farneticazioni dei momenti più difficili da digerire; del resto noi genitori siamo stati o siamo tuttora figli e ben sappiamo quanto sia stato e sia difficile accettare consigli e avvertimenti da parte di coloro che ci hanno messo al mondo.
Ovviamente nessuno ci ha imposto di sposare quella persona, nè il numero dei figli da mettere su questa terra e si evitino frasi del tipo: hai voluto la bicicletta? E mo’ pedala, oppure: ora capisci cos’hanno passato i tuoi con te… ve ne supplico, restate in silenzio e badate alle vostre sagge scelte, ai vostri stramaledetti calcoli azzeccati, alla buona sorte, immeritatissima in certi casi.
Sembra che qualunque decisione si prenda sia sbagliata, eppure dobbiamo sempre trovare la forza di ripartire coi figli, non arrenderci, non impazzire.
Quando mi dicevano: non hai figli, non puoi capire, lo trovavo poco inclusivo e razionale, adesso lo condivido appieno perchè niente fa più male degli errori commessi a discapito dei propri figli, anche se non dipendono da noi; la frase della saggia e amatissima nonna Lelena, madre del mio defunto padre, ora la comprendo visceralmente: NEMMENO UNA FORMICA DOVREBBE DIVENTARE MADRE!
Annalisa Capaldo