Nel mondo c’è chi spara bombe sugli ospedali, sulle scuole e chi spara cazzate sui social, nelle assemblee, al telefono, de visu.
I primi causano morti ingiustificate e distruzione, i secondi favoriscono l’abbrutimento generale dell’umanitá.
I signori della guerra, i masters of war di Dylan, non si mettono d’accordo e lucrano sulle armi, sui medicinali, sui morti e sui vivi, i secondi pure.
Ho visto pochi giorni fa al nosocomio di Nocera Inferiore scene raccapriccianti, centinaia di esseri umani ammassati al pronto soccorso come anime senza speranze, anche per 12 ore, a sperare che un medico li visitasse.
Ho visto mio marito stremato, con una diagnosi di ulcera duodenale sanguinante e profonda, attendere invano il suo turno, con un vergognoso codice verde che verde non era e un certificato ospedaliero in cui si raccomandava il ricovero e l’immediato inizio della terapia.
Non c’è posto è stata la risposta di una dottoressa di cui non dimentico il nome; scacciati dal nostro paese, dal nostro ospedale, con un blando emostatico sull’ulcera, di corsa a Vallo della Lucania, a due ore e più di distanza.
Disumanità intollerabile da parte degli uscieri, degli infermieri al triage, aria di insulsa superbia e blanda indifferenza al dolore, alla paura di un ammalato.
Mi sono chiesta dove fossero finiti Gesù Cristo appeso al muro sulla sua croce, dove il giuramento d’Ippocrate e la morale dentro di noi, il tutto tra lacrime di disperazione, telefonate al politico che non può fare miracoli, visi cupi e stremati di vecchi, giovani, donne di ogni razza che mi hanno fatto pensare ad epoche ed avvenimenti non troppo lontani da noi.
E come se non bastasse ci si permette ancora di sottoporre i nostri più validi allievi a dei test idioti per entrare a medicina, con banche dati scopiazzate dai più, raccomandati figli d’arte, in barba al merito, all’etica personale, alla giustizia e alla logica.
Non ci sono medici, non c’è personale sentivo urlare e intanto non avevo più lacrime da piangere ripensando che mio padre 8 anni e mezzo fa sarebbe morto su una barella, in un corridoio, ancora bello e giovane, ma sofferente al massimo, se quell’amico che contava non avesse fatto la telefonata vincente.
Ho detto a tutti e lo scrivo pubblicamente che se sto per morire non voglio andare a Nocera, al mio ospedale, ho provato ancora una volta paura, scoramento, disgusto e rabbia constatando la differenza di trattamento tra Nord e Sud, ma soprattutto la totale mancanza di empatia da parte di tutti contro tutti, come avrebbe suggerito Hobbes.
Annalisa Capaldo