
Napoleone diceva: Ai generali bravi, preferisco quelli fortunati. Nulla da eccepire, per carità. Ma noi ai politici bravi, che pur esistono, chi preferiamo ? Non quelli fortunati, ma a volte i decisamente spregiudicati, quelli che vanno oltre il codice. Il noi ovviamente è un eufemismo. Ormai scegliamo poco o niente (spesso anche male) oppure ci rifiutiamo di scegliere. I fatti di questi giorni in Campania (ma anche quelli in precedenza verificatisi in Liguria, Puglia e altrove) hanno persino smesso di sorprenderci, tanto tutto finisce alla Crozza, in una parodia della parodia. Al tramonto della Prima Repubblica, quando imperversavano i Pm di Milano, si sosteneva che appalti truccati e conseguenti tangenti servivano a finanziare la politica. Sono passati oltre trent’anni, nulla è cambiato. Sono cambiati i nomi dei partiti, sono mutate norme sul finanziamento pubblico ma la sostanza pare intatta: si continua a rubare, in nome di chi e di cosa poco importa. Ci siamo adeguati, colpevoli tutti, allo scandalizzarci minimo, che dura qualche giorno al massimo. Ma quando si tratta di scegliere, cioè di votare, persino lo scandalo passa in secondo piano. Nelle stanze alte del potere, tutto viene alimentato dai metodi spicci dei piani sottostanti: dalle nomine ai favori, dalle poltrone ai soldi (gettati dalla finestra all’arrivo delle forze dell’ordine, come in un film qualsiasi della commedia all’italiana). La modernità in Italia non esiste. E’ solo facciata o propaganda. Il Gattopardo che è in noi agisce instancabilmente. Il nostro sport nazionale è uno solo: adeguarci alle leggi che cambiano con il nostro spirito da generali scaltri o truffaldini. Alt ai moralismi, la piaga esiste ovunque, senza esclusione di campi stretti o larghi. Settimo: ruba un pò meno, era un comandamento che Dario Fo adattò a commedia.