Gisèle Pelicot per anni ha pensato di essere una donna fortunata e se lo ripeteva spesso: un marito premuroso, attento e gentile che non le aveva mai fatto mancare affetto, quelle piccole attenzioni come prepararle i suoi piatti preferiti o prendersi cura di lei. La donna racconta, tra le altre cose, un evento in particolare che ci fa capire in che genere di totale inconsapevolezza vivesse: di ritorno da un suo viaggio mentre era in visita ai nipotini, suo marito, Dominique Pelicot, si fece trovare alla stazione di Avignone per prenderla e riportarla a casa dove le fece trovare, ben conservata e riscaldata, la sua cena preferita: il purè di patate meticolosamente preparato e separato dal suo —dato che preferivano due versioni diverse — e poi il gelato al lampone che le aveva portato a letto. Preparava molti pasti Dominique Pelicot, ma i suoi non erano gesti d’amore, quei pasti venivano sistematicamente alterati da farmaci, come ad esempio massicce dosi di Tavor.
Giséle Pelicot, quindi, non nutriva alcun sospetto su suo marito perché apparentemente era un uomo buono e amorevole, tutt’altro, lei si sentiva una donna molto fortunata ad averlo accanto, si prendeva cura di lei, dei suoi problemi di salute, la accompagnava a tutte le visite ginecologiche e neurologiche ma i problemi di salute che lei accusava da un po’ glieli procurava proprio lui stesso, perché per quasi dieci anni Pelicot le ha somministrato di nascosto questi farmaci per far sì che decine di uomini, adescati online, potessero entrare in casa e abusare di lei senza lasciare traccia nella sua memoria. Era tutto meticolosamente organizzato e filmato: dovevano spogliarsi in cucina per non svegliarla e non dovevano avere odori troppo forti, di tabacco o profumi. Filmava e catalogava tutto: centinaia di video, 83 stupratori elencati con il nome in cui apparivano in chat, ma la polizia ne ha identificati, e arrestati, solo 51 di loro.
Giséle e Dominique Pelicot erano sposati da quasi 50 anni, chi dubiterebbe dell’uomo con cui condivide la vita da così tanto tempo?
“Uno stupratore non è qualcuno che si incontra in un parcheggio a tarda notte. Uno stupratore può essere anche in famiglia, tra i nostri amici”, ha sostenuto Gisèle Pelicot.
E infatti gli uomini che hanno abusato di lei sono uomini normalissimi, banali anche, inseriti nella società, uomini che si aggirano tra i 26 e i 74 anni e fanno i lavori più disparati: professori universitari, camionisti, giornalisti, operai, pompieri, infermieri, militari, impiegati, ecc. Molti di loro, oltre alle mamme, hanno compagne, mogli e figlie e esattamente come Giséle Pelicot molte di loro pensavano che fossero mariti amorevoli, figli e padri premurosi, instancabili lavoratori, persone educate e gentili.
“Sono uno stupratore, come gli altri imputati presenti in quest’aula: tutti sapevano” ha sostenuto Dominique Pelicot, durante una delle udienze.
Gli uomini che si sono interfacciati con lui sono tantissimi, avrebbero potuto fermare gli abusi che sistematicamente questa donna subiva dal marito e da perfetti sconosciuti, anche solo parlandone, nessuno di loro lo ha mai fatto.
Per molti di questi uomini non era sicuramente una novità, lo stesso Pelicot nel suo computer aveva oltre ai vari materiali sulle violenze inflitte a sua moglie, anche 728 immagini pedopornografiche e una trattativa su Skype con un uomo per stuprare, dopo averla sedata, la figlia quindicenne.
Ci sono luoghi virtuali e canali Telegram che pullulano di questi accordi, di gruppi dove uomini adulti si scambiano foto di vittime inconsapevoli, spesso filmate di nascosto e spesso minori o addirittura bambine.
Potrebbe essere tuo fratello, tuo marito, tuo padre o il tuo migliore amico, non hanno segni che li identificano come “bestie”, come spesso vengono etichettati, perché gli stupratori non sono bestie, non sono al di fuori della società, ma uomini normalissimi spesso sono anche uomini noti, amatissimi dal pubblico ed è proprio il supporto, la stima e la fiducia che la società nutre verso di loro a facilitare le loro azioni, consapevoli che tra loro e una perfetta sconosciuta il pubblico crederà a loro, tra un uomo e una donna, sarà sempre l’uomo a essere creduto.
Allevati e coccolati nella cultura dello stupro che ha formato —con le abitudini, le tradizioni, gli esempi e il linguaggio— le loro menti, spingendoli ad agire in un determinato modo perché gli “uomini veri”, si comportano così. Ma l’aspetto più inquietante è la normalizzazione di questa cultura che da millenni traccia il rapporto tra uomini e donne: da una parte la certezza di poter agire seguendo schemi che non vengono messi in discussione e sono condivisi da millenni, dall’altra l’interiorizzazione della misoginia che spinge ancora troppe donne a pensare di non valere più di così, di non valere più di un uomo e di colpevolizzare puntualmente le altre donne.
La forza e il coraggio di Gisèle Pelicot, la brutalità di questa vicenda che ha scosso quasi tutto il mondo ci costringe nuovamente a fermarci e a riflettere sul modo in cui si parla di stupri e di cultura dello stupro, su una decostruzione maschile che si fa sempre più urgente e che richiede l’impegno anche degli uomini: analizzarsi, empatizzare e collaborare, tutto molto lontano dal “not all men”.