“Ethan al momento è stato sottratto al padre ed è in affidamento ai servizi sociali, e un primo giudice ha già deciso per l’affido temporaneo alla madre, in attesa che un secondo giudice decida definitivamente sull’applicazione della Convezione internazionale de L’Aja e a chi spetterà tenerlo definitivamente. Fio ad allora il padre lo potrà vedere solo durante incontri protetti. “Questa vicenda ha tenuto con il fiato sospeso un’intera nazione – commenta emozionato l’avvocato Gian Ettore Gassani, legale di Claudia Ciampa e presidente dell’Ami, Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani. Tuttavia, ho sempre coltivato la certezza che prima o poi ci sarebbe stato un lieto fine in questa storia che ha portato nuovamente all’attenzione un fenomeno terribile che riguarda padri e madri. Il peso specifico delle nostre autorità politiche e diplomatiche è stato ancora una volta decisivo. Dopo che questo primo giudice ha dato ragione a noi ieri siamo ottimisti per il prosieguo della vicenda. Ora inzia la vera e propria battaglia legale”. Ringrazio anche io, come la signora Ciampa, il ministro Antonio Tajani e il ministero degli Esteri, degli Interni e della Giustizia, oltre alle autorità diplomatiche negli Stati Uniti, per essere riusciti in un’impresa che sembrava disperata. Le sottrazioni internazionali di minori sono in vertiginoso aumento. Adesso non ci resta che aspettare la signora Ciampa torni nella sua bellissima Piano di Sorrento con il bambino in braccio. Fra pochi giorni partirò anche io alla volta di Los Angeles per risolvere tutte le altre questioni” ha detto ancora l’avvocato Gassani.
Ma chi è Gassani ?”C’è una via a Roma nei pressi del Vaticano, dove vivo e lavoro da due decenni, a pochi metri da casa mia, che è dedicata alle medaglie d’oro dell’Italia. E’ dunque una strada che onora anche mio padre Dino Gassani e il suo fido segretario Pino Grimaldi. Ogni 27 marzo (ricorrenza della morte di mio padre) mi fermo davanti alla lapide delle medaglie d’oro e mi inchino davanti al sacrificio di quanti hanno onorato l’Italia con il proprio estremo sacrificio per essersi opposti alle mafie e al terrorismo. Lo ammetto. Gli inizi di ogni primavera mi angosciano, come mi angoscia il garrire delle rondini. Quando mio padre morì aveva soltanto cinquantuno anni mentre io e mio fratello Luigi eravamo soltanto due studenti del liceo classico. Se ci penso, mi rendo conto di aver speso gran parte della mia vita a ricordare mio padre o a farmelo raccontare dai suoi amici. Mi sembra tutto così surreale. Si perchè persi mio padre nel momento più delicato e incosciente della mia vita, quello in cui non si è né carne né pesce, dovendo rinunciare alla sua guida nella vita e nella professione”: sono parole di Gian Ettore Gassani, l’avvocato speciale. Dino Gassani era nato ad Angri il 4 febbraio del 1930. Frequentò il liceo classico Giambattista Vico di Nocera Inferiore per poi iscriversi all’Università di Napoli. Nel 1955 la famiglia si trasferì a Salerno. Ad uccidere il noto avvocato furono Mario Cuomo e Antonio Schirato, due sicari assoldati dal camorrista Raffaele Catapano, detto il boia delle carceri.
Racconta la sua scelta spesso: “Dopo circa sette anni di onorata carriera, decisi di iscrivermi all’AIAF (Associazione Avvocati per la famiglia e i minori), associazione grazie alla quale iniziai ad amare il diritto di famiglia e delle persone. Da quel momento non c’è stato convegno o seminario in Italia che io non abbia seguito. Non so quanto avrò speso in viaggi per aggiornarmi continuamente e per conoscere di persona tanti mostri sacri del diritto di famiglia e minorile. Questi sacrifici, queste continue trasferte, furono fondamentali per la mia formazione professionale. Stavo costruendo l’occasione per vivere di luce mia e non più di luce riflessa di mio padre.
Stavo costruendo me stesso con le mie sole forze, senza aiuti e senza eredità forensi. Ormai ero diventato (e sarò sempre) un penalista prestato al diritto di famiglia. Capii che tante separazioni giudiziali sono accompagnate da processi penali per reati intrafamiliari.
Potevo quindi continuare la mia professione forense in modo completo, come piaceva a me.
Mi sono quindi sentito una sorta di avvocato matrimonialista del tutto particolare, che poteva cimentarsi su ogni e qualunque questione familiare o minorile, sia in sede civile che penale.
Questa è stata la mia grande fortuna che ho costruito negli anni. E se oggi ho uno studio a Roma e l’altro a Milano lo devo alla gavetta e alla solitudine che mi hanno forgiato ed aiutato a non mollare mai.”
Nel luglio 2007 mi dimisi dall’AIAF e fondai con un nutrito gruppo di avvocati l’AMI, l’Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani.
Tale scelta derivò dall’ansia di creare un nuovo soggetto associativo che avesse una vocazione multidisciplinare e che fosse attento alle istanze della gente.
All’inizio nessuno credeva nell’AMI. Sembrava un’avventura senza ritorno. Anche tra noi soci serpeggiava un pericoloso pessimismo. Poi l’AMI creò sedi dalle Alpi alla Sicilia iniziando un percorso a dir poco trionfale che è sotto gli occhi di tutti, portando avanti con grande ardore il proprio credo associativo. In poco più di dieci anni abbiamo organizzato 1400 eventi formativi. La nostra era ed è un’associazione di denuncia e di proposte concrete di riqualificazione del diritto di famiglia e delle persone. La sua neutralità rispetto alla politica è stata provvidenziale. Ciò ha stuzzicato la curiosità di tutti i mass media nazionali, venendo a crearsi un’esposizione mass-mediatica attorno a noi mai riservata prima a nessun’altra associazione forense del nostro Paese.
Il 25 ottobre 2013 l’AMI ha ottenuto il riconoscimento dal Consiglio Nazionale Forense e l’iscrizione nell’albo delle Associazioni Forensi Specialistiche Maggiormente Rappresentative.
Un traguardo straordinario e prestigioso, forse inimmaginabile che mi ha ripagato dei tanti sacrifici e della mia capacità di osare nella vita. Oggi sono sereno. La salita è stata lunga e disperata. Credo di avere fatto tutto ciò che occorreva per dare un senso alla mia vita di avvocato, e di orfano d’arte, e per onorare la memoria di un genitore che di sicuro in questi anni non mi ha mai abbandonato.”