Non vi è bisogno di scomodare George Simmel che ha scritto un bel saggio Sull’intimità o Emile Durkheim che pure ha disquisito sul suicidio per comprendere quanto un nucleo familiare composto da marito, moglie e prole abbia assoluta necessità di privacy, intesa come indipendenza personale, libertà di spazi, di movimenti, di parola, di espressione.
Questo concetto sembra lapalissiano ma, chi per egoismo, chi per mancanza di empatia ,chi perché nulla ci può fare, finisce per definire pazzi, isterici, irrazionali e cattivi coloro che si trovano, obtorto collo, in questa condizione: il matrimonio va a rotoli, l’educazione dei figli ne risente enormemente, così come l’amor proprio, ma neppure alla propria madre questo interessa. E mica è colpa sua se sua figlia non ha la possibilità economica di avere un buco in cui vivere da sola con la propria famiglia? Che ci può fare se è stata sfortunata o ha trovato un marito povero? La frase che più risuona nelle viscere, squarciandole, è la seguente: e che ci posso fare io? Dalla mancanza di soluzioni nascono l’instabilità emotiva, il linguaggio brutale, l’infelicità assoluta.
La psicologia dell’amore, soprattutto nelle donne, porta al desiderio spasmodico di avere una propria abitazione, senza la forzata convivenza con genitori o altre persone che non siano quelle del presente nucleo familiare, in caso contrario la famiglia formatasi in seguito si disgrega, avvengono continui litigi, si finisce per congetturare pensieri torvi e malsani. Infatti l’idea del suicidio, apice del malessere di una persona, è non solo di tipo psicologico ma ha anche radici sociali.
La sociologia della famiglia è una delle branche più complesse oggigiorno, le violenze peggiori, infatti, avvengono in tale ambito: più che il nido accogliente che ci si aspetti ci si ritrova a vivere segregati nella propria stanza, ad evitare sguardi, la buonanotte, i baci per Natale e per Capodanno e tutto provoca disagio.
Inutile pensare al dopo, a quando uno di noi non ci sarà più, perchè se ci si è feriti in vita non si avranno grossi rimpianti dopo la morte e sociologicamente è pure preferibile non soffrire per coloro che non hanno mai compreso il nostro malessere.
È facile prendere per pazzo e indemoniato chi tende la mano e non viene aiutato, la famiglia non esiste se serve solo ad offendere o a mostrare indifferenza o peggio ancora a gettare bestemmie.
Annalisa Capaldo