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Non molti anni fa ho letto L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde, uno dei miei autori preferiti, che poi è stato tradotto in italiano anche col titolo L’importanza di essere Onesto e mi ha sia divertito che sbalordito. Jack, il protagonista, per sfuggire alla noia della vita campagnola, si rifugia nella mondanità londinese con il falso nome di Ernest, ma stavolta non farò recensioni, bensí mi concentrerò sui titoli citati.
Avere un nome o un cognome altisonanti sembra avere più rilevanza dell”essere una persona onesta, oggi come ieri: spiegare ai giovani che ciò è biasimevole e vergognoso, nonché ingiusto, non è sempre facile.
Infatti è avvilente dover insegnare che la cultura, i sacrifici, lo studio, l’onestà ed il coraggio siano peculiarità imprescindibili di una brava persona se nella realtà meritocrazia e giustizia non esistono quasi più.
Tuttavia non intendo scrivere sempre di politici arraffoni e di imprenditori fraudolenti, nè di docenti impreparati e poco empatici o cantanti senza talento alla stregua di influencer e youtuber, rischiando di sembrare una boomer che non chilla.
Ho dei figli adolescenti, oltre ad alunni da formare, conosco il loro linguaggio, i sogni, le disillusioni, i vizi e le virtù delle nuove generazioni per cui la responsabilità che sento è ingente.
L’importanza di chiamarsi Ernesto mi fa subito pensare ad un rivoluzionario che oggi tanto manca: Ernesto Che Guevara.
Egli, più di ogni altro, andrebbe conosciuto e studiato a scuola e all’università, per trasmettere ai giovani passione e speranza, tenerezza e potere decisionale cogente, così come la rilevanza di essere onesto.
Essere il parente o l’amante del personaggio potente di turno non dovrebbe mai essere sinonimo di successo agevolato e strada spianata, nè tantomeno un viatico per farla franca di fronte alla legge.
Io non dimentico le ingiuste condanne di Sacco e Vanzetti, di Antonio Gramsci, di Nelson Mandela e di Martin Luther King, cosí come tengo bene a mente i reati non puniti dei nostri governanti presenti e del recente passato. Il peso della verità è da ponderare in massimo grado e va elargito senza scappatoie a tutti ed in qualunque modo.
La differenza tra Ernesto e Gennarino Esposito, giusto per fare un nome inventato, tra un uomo onesto che vale umanamente e professionalmente ed un pusillanime imbroglione, va dimostrata a scuola, sui mass media e nella vita comune, se vogliamo gettare le basi di una società non putrida.
Inutile lamentarci se non facciamo nulla di concreto per cambiare questo mondo che va a rotoli e restiamo schiavi del sistema, temendo ritorsioni e mancati contentini.
“Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza”.
È facile perdere il sorriso e la fiducia, rispondere con durezza alla durezza, scivolare a volte perfino nella cattiveria, o nel cinismo, o nella rabbia.
Questo era ciò che sosteneva il Che, uomo onesto intellettualmente, così come Oscar Wilde riassumeva la morale della sua commedia: “la verità è raramente pura e non è mai semplice.”
Questa frase racchiude tutta la sostanza de The Importance of Being Ernest. L’assonanza voluta da Wilde (Ernest – Honest, Ernesto – Onesto) aveva lo scopo di smascherare le contraddizioni di una società inglese perbenista, che dietro una fitta cortina di apparenze finge il rispetto di grandi qualità umane, quali l’onestà.
L’autore si fa gioco dell’atteggiamento di coloro che, abbagliati “dal nome”, non mostrano di provare alcun interesse verso la sostanza della persona. La rilevanza è riservata all’apparire mentre l’essere resta confinato in secondo piano.
Apriamo gli occhi: non tutte le medicine servono per curare e non tutti i medici salvano vite umane, la bugia è in perenne agguato.
Annalisa Capaldo