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Scrivere è un modo per sopravvivere e capisco visceralmente chi lo ha fatto meglio e prima di me, sia in prosa che in poesia
Infatti mettere su carta (o mediante una tastiera) le proprie idee, le sensazioni, le emozioni più intime è l’unico sollievo anche alle mie sofferenze.
Non ho mai avuto bisogno di aiuti esterni, di appunti scritti da altri o scopiazzati da Internet per descrivere stati d’animo che a voce non sarei riuscita ad esprimere: naturalmente anche il mio modo di scrivere si è evoluto col passare degli anni, così come la mia visione della vita e la mia indole.
Oggi non sono l’ Annalisa del liceo, dell’ Università, della prima maternità, non le somiglio neppure lontanamente per il disincanto che ormai si annida in ogni mia cellula. Con questo non intendo dire che ho smarrito i sogni e che non nutro più speranze di giustizia, ma di certo il rancore e la rabbia dovuti ad eventi e persone inqualificabili e alla perdita di persone insostituibili, mi hanno ineluttabilmente deturpata, avvizzita alla stregua di “un legno secco”.
Spesso sostengo che non ero così, che l’odio non mi apparteneva, la pìetas intesa come solidarietà verso coloro che mi hanno delusa, infiacchita, ferita, annientata a tratti, è scomparsa definitivamente e questo mi intristisce e talvolta mi spaventa.
Come si fa a non provare compassione per chi un tempo poteva diventare una spalla, un punto fermo della mia esistenza? Come si può desiderare la morte di colui che mi ha reso, per un tempo effimero e finito. una donna felice?
Il risentimento uccide più chi lo prova e sbigottisca coloro che non credevano possibile cotanta rabbia in un cuore buono e puro.
L’odio non nasce dal nulla, ma si consolida in base alle troppe delusioni provate, alle eccessive coltellate silenti ricevute da persone vicine eppure distanti anni luce: il porgere l’altra guancia di Gesù Cristo non mi appartiene, perdonare è una menzogna, i cocci rotti non vengono incollati per sempre e non in modo stabile. Dio solo sa se ci ho provato!
Tuttavia non sono i tradimenti corporali ad annientare l’amore e a provocare l’odio bensì il sottovalutare le lacrime non versate, le bugie proferite a fin di bene che non esistono, gli abbracci non dati per pudore, la mancata condivisione dei drammi e delle avversitá, il superficiale vivere quotidiano senza parlare, la claudicante comunione d’intenti, le promesse mai mantenute, la disonestà intellettuale, la codardia.
Ecco perché scrivere è come sopravvivere, giacchè la speranza di lasciare una traccia del proprio essere più intimo solleva l’animo e smorza l’aridita del cuore: ovviamente chi prega costantemente, con fede atavica ed irrazionale, è avvantaggiato. Ma non tutte e non tutti riescono a credere fermamente in un’entità divina e ad abbandonarsi senza se e senza ma ad un motore fisso ed immobile, unico viatico di salvezza, solo spiraglio di redenzione, balsamo e sollievo delle pene umane. Non tutti sono disposti a compiere codesto sforzo spirituale, un percorso interiore completo verso un credo irreversibile e salvifico.
Non provo invidia per nessuno, ma comprendo quanto siano state infinitamente più furbe di me le persone che hanno calcolato il proprio avvenire, valutandone rischi e conseguenze, introiti e comodità, senza la sciocca pretesa di restare fedeli alla propria etica e alle personali idee anticonformiste.
Col tempo, invece, si capisce che la violenza subita da chi proferiva di amarci assume molteplici forme, non solo fisica, ma anche economica (la più subdola e biasimevole), familiare, psicologica e via dicendo.
In conclusione, a cosa servono gli ideali di emancipazione se vengono disillusi da continue ingiustizie, nefandezze di cui si resta vittime come una mosca nella tela di un ragno? A cosa valgono i mille sacrifici che si fanno in vista di un futuro sereno, mortificati puntualmente da chi ci vive accanto? A cosa, l’ennesimo ricorso alla residua forza interiore vanificato da chi decide del nostro destino senza giustizia ed onestà?
Scrivere per sopravvivere, quindi, per la mera necessità di dire la verità.
Annalisa Capaldo