
Nel contesto di una società patriarcale, dove le dinamiche di potere sono frequentemente invisibili e interiorizzate, il concetto di consenso assume una rilevanza cruciale e, al tempo stesso, ambigua. Recenti casi di femminicidio, come quello della vigilessa Sofia Stefani, hanno evidenziato il confine sottile tra pratiche sessuali consensuali e violenza, aprendo un dibattito sulle strutture di potere che spesso si celano dietro rapporti di sottomissione. In questo scenario, il concetto di “contratto sessuale” sottoscritto da Sofia e dal suo assassino, un uomo che si definiva suo “padrone”, ci invita a riflettere sulla complessità e sulle insidie del consenso in una cultura patriarcale che, in ultima istanza, può ridurre la libertà individuale a una chimera.
Nel caso di Sofia Stefani, la vittima aveva firmato un “contratto sessuale” con il suo ex compagno, un accordo che li vedeva coinvolti in una dinamica di sottomissione e dominazione. La difesa del presunto colpevole ha cercato di presentare questa relazione come una forma di “gioco erotico”, ma il contesto di potere, abusi psicologici e coercizione sembrano suggerire un altro scenario. La libertà di scelta in un contesto del genere non può essere mai davvero liberatoria, quando una delle due parti si trova a fare i conti con una forte asimmetria di potere, che può annullare ogni forma di vero consenso.
Questa dinamica non è un caso isolato, ma si inserisce in un quadro più ampio di pratiche sessuali che spesso, nel nome del “piacere”, nascondono delle forme di controllo psicologico e fisico. La pressione sociale e culturale verso il conformarsi a certi modelli di relazioni, di desiderio e di sessualità, in un contesto patriarcale, rende difficile comprendere dove inizia e dove finisce il consenso autentico. In molte situazioni, le donne sono indotte a credere che la loro sottomissione, sia emotiva che fisica, sia una forma di affetto o di desiderio, senza considerare che può trattarsi, più spesso di quanto si pensi, di una forma di manipolazione maschile.
Il fenomeno di OnlyFans, che ha preso piede negli ultimi anni, incarna perfettamente questo dilemma tra libertà individuale e coercizione sottile. La piattaforma, nata come uno spazio in cui le persone – prevalentemente donne – possono condividere contenuti espliciti e guadagnare dalla loro sessualità, è stata celebrata da alcuni come una forma di empowerment femminile. Tuttavia, il contesto sociale e culturale in cui nasce questo fenomeno non è neutro, e molte delle donne che vi partecipano si trovano a negoziare il loro corpo in una realtà in cui la visibilità e il denaro sono spesso più importanti del benessere psicologico e della libertà personale.
Sebbene alcuni sostengano che OnlyFans rappresenti una forma di indipendenza e di libertà dalle strutture patriarcali tradizionali, altre voci femministe mettono in evidenza come questa “libertà” non possa essere vista come un atto di vera autonomia, ma piuttosto come una risposta a una società che sfrutta la sessualità femminile per scopi economici. L’accesso a contenuti sessuali a pagamento, infatti, diventa parte di una logica di consumo, dove il corpo delle donne è trasformato in merce, mettendo in discussione se tale libertà possa davvero essere considerata tale, o se sia solo un’illusione creata dalle strutture di potere capitalistiche.
In una società che oggettivizza il corpo delle donne e le riduce a strumenti di piacere o di profitto, la libertà di scegliere sembra essere una condizione difficile da raggiungere. Se il patriarcato continua a dettare le regole del gioco, se il corpo femminile è costantemente oggetto di desiderio e consumo, la libertà di scegliere davvero non è mai piena. La stessa definizione di consenso, in un contesto di disuguaglianza, viene frequentemente deformata. Quando le donne si trovano a scegliere tra forme di sottomissione nei loro rapporti interpersonali, come nel caso di Sofia Stefani, o a mettere in vendita il loro corpo su piattaforme come OnlyFans per sopravvivere o ottenere visibilità, la loro libertà si riduce alla scelta tra due forme di oppressione.
Il consenso in una società patriarcale è, quindi, sempre parziale, mai completo. Anche quando una donna afferma di aver scelto liberamente, bisogna domandarsi se quella scelta sia davvero libera o se sia stata influenzata dalla cultura dominante che le impone certe aspettative. L’individualismo che la nostra società promuove, dove ogni individuo è ritenuto “responsabile” delle proprie scelte, non tiene conto delle strutture di potere che modellano profondamente quelle stesse scelte.
Conclusioni
Il caso di Sofia Stefani e la crescente popolarità di piattaforme come OnlyFans ci offrono l’opportunità di riflettere sul concetto di consenso in una società patriarcale. La libertà sessuale, quando non è accompagnata da una riflessione critica sulle strutture di potere, rischia di diventare una mera illusione. La sottomissione mascherata da “gioco erotico”, il corpo femminile venduto come merce, e la presunta libertà di scelta sotto l’influenza di modelli di desiderio predatori, sono facce della stessa medaglia: una medaglia che ci ricorda quanto il patriarcato sia capace di infiltrarsi in ogni aspetto della nostra vita, riducendo la libertà individuale a una chimera, un miraggio che svanisce non appena proviamo a raggiungerlo.
Solo una società che smantelli le strutture di potere esistenti, che consideri il corpo femminile come una proprietà autonoma e non un bene da consumare, potrà sperare di restituire un vero consenso alle donne, in tutte le sue forme e manifestazioni. Fino ad allora, la libertà rimarrà una conquista ancora da raggiungere.
