Nel 2023 il Pil del Mezzogiorno dovrebbe crescere dello 0,4%, mentre il Centro-Nord dovrebbe registrare una crescita doppia (+0,8%).
È quanto emerge dal rapporto Svimez nel quale si ricorda che la crescita a livello nazionale è attesa a +0,7%. Si riapre così il divario di crescita tra i territori, dopo un biennio di allineamento, a causa del diverso andamento dei consumi. La contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (-2%), del resto, è doppia rispetto al Centro-Nord.
La crescita
Si tratterà di un divario a intermittenza. Secondo Svimez nel 2024 il Sud aggancerà la ripresa del Nord (per effetto degli investimenti del Pnrr). Ma, l’anno successivo, questo vantaggio si annullerà di nuovo e si riaprirà il divario. Nel 2024 si stima che il Pil aumenti dello 0,7% a livello nazionale, per effetto del +0,7 del Centro-Nord e del +0,6 del Mezzogiorno. Nel 2025, la crescita nazionale dovrebbe attestarsi sul +1,2. La crescita del Pil meridionale è stimata 4 decimi di punto al di sotto del dato del Centro-Nord: +0,9% a fronte del +1,3.
I redditi delle famiglie
L’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Doppio al Sud l’impatto dell’inflazione sui redditi delle famiglie. È quanto emerge dal rapporto Svimez 2023. Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, viene riferito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (-1,2 punti). Rispetto alle altre economie europee, viene spiegato, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani, che tra il II trimestre 2021 e il II trimestre 2023 hanno subito una contrazione molto più pronunciata della media Ue a 27 (-10,4% contro -5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (-10,7%)
Il sud si spopola
La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani. Le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. Se da un lato, le comunità immigrate si concentrano prevalentemente nel Settentrione “ringiovanendo” una popolazione sempre più anziana; dall’altro, il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati. Il rapporto evidenzia “il gelo demografico nazionale e lo spopolamento del Sud”. Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subito un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati. Le previsioni sono ancor più drammatiche. Si stima che nel 2080 circa 8 milioni di meridionali saranno andati via dalla propria terra, significa che il Mezzogiorno perderà il 51 per cento dei giovani, cioè la metà della popolazione attiva e da lavoro qualificato. In pratica diventerà l’area più vecchia del Paese.
Il lavoro aumenta ma è sempre più povero
L’incremento dell’occupazione, maggiore al Sud che nel resto del Paese, non basta ad alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Il rapporto Svimez 2023 indica in “salari, lavoro povero ed emigrazioni giovanili le questioni più urgenti”. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, dal 7,6 fino al 9,3%: quasi una su 10. In generale nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: 250.000 in più rispetto al 2020 (-170.000 al Centro-Nord).
Pnrr decisivo
La crescita dell’Italia, ma soprattutto del Mezzogiorno, è quindi strettamente vincolata all’attuazione del Pnrr nel biennio 2024-2025. Incidono gli effetti espansivi degli interventi finanziati dal Pnrr, per la concentrazione nel biennio del massimo sforzo di realizzazione infrastrutturale. Svimez ha stimato in 2,2 punti percentuali l’impatto cumulato sul Pil nazionale nel biennio nell’ipotesi di completo e tempestivo utilizzo delle risorse disponibili: +2,5 nel Mezzogiorno e +2% nel Centro-Nord. Secondo le stime della Svimez, il Pnrr eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione: -0,6% e -0,7% il Pil del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 “senza Pnrr”.
Lavoro femminile
Il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico. È quanto emerge nel rapporto Svimez 2023 dove viene sottolineato di “riattivare il circolo virtuoso tra natalità, welfare, donne e lavoro”. Le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa (media Ue 72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di eta’ compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la meta’ rispetto ai padri (82,1%).
Gli asili nido
Il Sud affronta gravi ritardi nell’offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3). Queste sono le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo del LEP dei posti autorizzati da raggiungere entro il 2027 (33%). Gli investimenti del Pnrr, viene spiegato, mirano a colmare queste disparità, ma non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, bensì attraverso procedure a bando, con una capacità di risposta fortemente influenzata dalle capacita’ amministrative degli enti locali.
I laureati
L’Italia presenta una delle percentuali più basse di popolazione laureata in Europa, con il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. Nel Mezzogiorno, questa percentuale si riduce al 22%. A livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). Nel Mezzogiorno, il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di 13 punti (80,6% contro 66,8%)