La lettura di un libro è l’occasione per guardare il mondo circostante in un modo diverso, non necessariamente attraverso lo sguardo dell’autore o dei personaggi che vivono nelle pagine di un romanzo, ma attingere dal loro pensiero la linfa per animare e spingere oltre il nostro.
Il libro di Gaetana Aufiero dal titolo “Capricci d’estate” edito dalla casa Editrice Scuderi è un piccolo gioiello di luci espressive che abbraccia il lettore sin dalle prime battute. Si compone di tre racconti accompagnati dalle riproduzioni di serigrafie realizzate dal poeta delle immagini Giovanni Spiniello.
Nel primo, dal titolo “Il numero uno” il cane Guizzo osserva gli umani con cui condivide spazi e umori, rivelandone l’allegria e la solitudine, documentando il senso profondo delle emozioni sopite e di quelle che solo a volte riaffiorano. In una casa vuota, come quella presentata dall’autrice, le voci familiari sono altrove e nella memoria di chi resta ricompaiono solo in alcuni momenti a rianimare sprazzi di vita passati; nelle stanze silenziose i ricordi abitano nelle voci di fantasmi amici.
Nel secondo racconto, dal titolo “Nina” l’oscurità dei ricordi di una bambina o di una donna ripercorre le atrocità della guerra, custodite nella memoria che assale e allenta la presa mentre rilascia immagini, colpi e parole. Nina è un personaggio potente, incarna tutte le Nina del mondo che convivono con il dolore della sopraffazione perché non esistono guerre giuste, ma solo ferite da curare.
La realtà appare una visione nella quale anche un elemento come il vento acquista una consistenza mentre abbandona il silenzio e culla il dolore che permea l’esistenza.
In “La farfalla sciamana”, l’ultimo dei racconti, Nina è ancora la protagonista che cerca risposte nella bolla di un presente che diventa passato per poi ritornare oblio in un continuo presente senza tempo dove nulla è immutabile.
I conflitti spezzano ogni cosa e l’anima soffoca quando è esposta alla brutalità dell’arroganza e della sopraffazione e, così, l’Etiopia, la Somalia, l’Africa, sono testimonianza di un macello in cui “il passato che torna qui nel salotto di casa con l’odore di una pioggia che non sa più di asfalto e cemento, ma di mangrovie, di banani, di gazzelle!” ne è il ricordo più vero.
Siamo farfalle in volo alla ricerca di senso e di pace, sembrano dire i racconti di “Capricci d’estate”.
La farfalla, nel nostro immaginario, è un potente simbolo evocativo; incarna perfettamente le fasi evolutive nelle quali è possibile ritrovare le trasformazioni dell’essere umano: un uovo, un bruco, una crisalide che in una fase successiva, seppur breve, spiega le ali e fluttua libera. Questi stadi corrispondono alla crescita spirituale dell’uomo e rivelano il mistero della metamorfosi che si completa quando si entra nell’oscurità del proprio Io (bozzolo) per poi rigenerarsi e rinascere.
Nel Cristianesimo, la farfalla, rappresenta la vita oltre la morte e spesso è iconograficamente rappresentata accanto a Gesù Bambino.
Nello Sciamanesimo la farfalla è la guerriera del vento, quel vento che abbandona il silenzio e inizia a dialogare come un folletto con la piccola/grande Nina della storia. La farfalla, nel testo della Aufiero, incarna la forza della saggezza nella lentezza e ascoltare il suo battere d’ali alimenta il vento che porterà verso la profondità dello spirito per favorire il risveglio di ciascuno in una rinnovata bellezza.
Anche nella tradizione del Sud della Penisola, le farfalline bianche, chiamate a Napoli “palummelle” (citate anche in una canzone popolare di Roberto Murolo) sono ritenute le anime dei defunti finiti in Purgatorio che in attesa della purificazione definitiva, a volte, vanno a trovare i propri cari in momenti particolari per incoraggiarli ed essere portatrici di presagi positivi.
Il libro scritto dalla docente in pensione Gaetana Aufiero è un racconto curato ed elegante nel linguaggio in cui emergono tematiche sociali importanti che suscitano riflessioni profonde. La stessa scrittura è protagonista delle pagine che si susseguono in un flusso creativo carico di emozioni da vivere. Una scrittura mai banale che contiene in sé il tentativo di raccontare sperimentando un nuovo linguaggio: tre racconti indipendenti che sono anche interconnessi e diventano parti di un unico romanzo, dove compare la suggestione prodotta dalla poesia e, a tratti, si ritrova il fraseggio tipico della filastrocca.
Una scrittura che tende a sperimentare un nuovo modo per raccontare e raccontarsi, come quello che condusse la scrittrice inglese Virginia Woolf a ricercare nel monologo interiore un modo per definire uno schema narrativo diverso da quello tipico del romanzo tradizionale, per superare l’idea di un tempo esterno capace di cambiarci e rivolgersi all’idea di un tempo interiore nel quale non si invecchia mai, ma si è in continua maturazione. In questa accezione, il tempo passato, presente e futuro diventa un tempo fatto di emozioni indipendente da quello esterno soggetto a regole precise.
Non mancano anche i riferimenti a Gianbattista Basile, letterato e scrittore, il primo ad utilizzare la fiaba come forma espressiva popolare che in “ Lo Cunto de li Cunti”, il suo testo più conosciuto, raccoglie cinquanta fiabe distribuite in cinque giornate, per tale motivo il testo viene anche chiamato “Pentamerone”, dove con l’ultima si ritorna alla vicenda principale e dove si ritrova anche la conclusione, come avviene in “Capricci d’estate”.
Raccontare è un po’ rinascere, rigenerarsi, ritrovarsi nelle origini di un luogo lasciato, ma mai dimenticato.