Domenico Rea nasce a Napoli l’8 settembre 1921, è stato ribattezzato dalla figlia come “narratore di Nofi” (appellativo con cui egli stesso si definisce in un’intervista rilasciata a Corrado Piancastelli nel febbraio 1975, indicando così la sua città, Nocera Inferiore):
“Come ti nacque l’idea di chiamare Nofi Nocera Inferiore? A quindici anni, quando scrissi il mio primo racconto, mi venne fatto di scrivere, invece di «C’era una volta a Nocera Inferiore… », «C’era una volta a Nofi…». Non saprei dire le ragioni motivazionali per cui si verificò questa sostituzione. Forse per non avvertire il peso di un nome di città così lungo e composto. Ma c’è un’altra versione di cui mi compiaccio. Nofi era il nome di un regno dall’orizzonte illimitato. Nocera un’identità storica, la rivale della Pompei romana, una terra di conquista di Annibale, una campagna ubertosissima ben segnalata da Luigi Einaudi. Nofi era invece una terra mia in cui qualche volta i protagonisti rassomigliavano a quelli realmente incontrati, conosciuti e frequentati di Nocera Inferiore”. (http://www.domenicorea.it/perche-scrivo/dallintervista-di-corrado-piancastelli-a-domenico-rea/).
Nato in una famiglia semi-analfabeta e povera, ultimo di tre figli (dopo le sorelle Raffaella e Teresa), nel 1924 Domenico Rea si trasferisce a Nocera Inferiore, paese dell’entroterra vesuviano e luogo d’origine di suo padre (lui ex carabiniere e la madre, Lucia Scermino, una levatrice). Trascorre un’infanzia “libera”, così come lui stesso ama definirla, impiegando il suo tempo nelle campagne di Nocera, correndo scalzo con gli amici, rubando frutta e verdura.
Nonostante la sua predisposizione all’italiano e alla geografia, dopo la licenza elementare abbandona la scuola, seguendo così il suggerimento degli insegnanti e successivamente lascia ogni tipo di studio per motivi economici. Fondamentale però si rivela per lui la lettura di un libro ritrovato per caso in soffitta e appartenuto alla sorella: Il viaggio intorno alla vita di Pierre de Coulevain. Letto da Rea con difficoltà, viene ritenuto infine incomprensibile, al punto che il suo amico Osvaldo, per invogliarlo e facilitargli così la lettura, gli fa recapitare a casa un vocabolario. Rea inizia a leggerlo e cercava di memorizzare quante più definizioni possibili, destandosi in lui una sorta di avidità del sapere.
In seguito, recatosi in una delle tante fiere, riesce ad impadronirsi di due libri: Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis e le Operette morali di Giacomo Leopardi. Proprio tali opere danno l’avvio al periodo creativo del nostro Domenico Rea. Scrivere diventa per lui un qualcosa di vitale al punto che nel 1939, a soli diciassette anni, partecipa ad un concorso letterario bandito dalla rivista <<Omnibus>>, diretta da Leo Longanesi, con il racconto È nato; non vince il concorso, ma Longanesi è colpito dal talento del giovane napoletano e lo invita a continuare a scrivere.
Nel 1944 si iscrive al PCI e diventa segretario della sezione di Nocera. Inizia a frequentare il gruppo di giovani intellettuali che darà vita alla rivista <<Sud>>. Determinante è l’incontro con Arnoldo Mondadori e suo figlio Alberto, avviando con loro una sofferta corrispondenza che precede e accompagna le sue pubblicazioni con la grande casa editrice. Alla fine del 1947 Mondadori pubblica il libro di racconti Spaccanapoli, un grande successo di critica, ma non di vendite.
Nel 1948 esce il dramma Le formicole rosse (successivamente rappresentato anche teatralmente con discreto successo), mentre elabora un altro libro di racconti intitolato Gesù fate luce. Si tratta di opere che rimandano agli aspetti più umili e quotidiani della vita napoletana e del Mezzogiorno, nelle quali si confondono realismo e barocco. Nel 1958 è la volta del romanzo Una vampata di rossore, storia di una tragedia familiare e di un’agonia che si dilata per tutta la lunghezza del romanzo. Il libro non viene accolto come Rea spera, né dalla critica né dal pubblico e ciò provoca in lui una crisi. Il suo periodo di silenzio durerà molti anni finchè, nel 1965 vince il Premio Settembrini con una raccolta di novelle intitolata I Racconti.
Nel 1970 Rea diventa giornalista alle dipendenze del Centro RAI di Napoli e collabora a <<Il Corriere della Sera>>. Il libro importante di questi anni è Fate bene alle anime del Purgatorio è pubblicato ancora da Mondadori. Dal 1980, collabora assiduamente con <<Il Mattino>>, per la cui testata scrive alcuni reportage di viaggi. Il 1985 si può considerare come l’anno del suo ritorno: con l’editore Rusconi pubblica Il fondaco nudo, una rielaborazione di racconti e saggi degli anni precedenti. Infine vince il Premio Strega col romanzo Ninfa plebea.
Domenico Rea è stato uno scrittore irrequieto, gioioso e addolorato, ironico e drammatico, lontano dalla vita politica, non si è mai assimilato a nessuna corrente letteraria, sebbene tutta la sua narrativa possa essere considerata per certe sfumature, neorealista, trattando il disagio ambientale e le ingiustizie, ma certamente Rea non è né Silone né Carlo Levi. In lui convergono classicismo, romanticismo (Boccaccio e Manzoni) e cultura partenopea (Basile, Mastriani, Imbriani).