Ieri il 44esimo anniversario dalla morte prematura. Prossimamente il centenario dalla nascita. Va sempre ricordato Basaglia, anche per quel che ispirò nei manicomi delle due Nocera grazie allo straordinario allievo Sergio Piro.
Franco Basaglia è stato il principale motore del concreto cambiamento della psichiatria: grazie alle sue teorie e all’esperienza messa in pratica nei manicomi di Gorizia e Trieste ha ridato diritti e dignità a migliaia di persone. Uomini, donne, ragazzi, vestiti tutti uguali con un lungo camicione grigio, reclusi, a volte costretti nelle camicie di forza, sottoposti a bagni ghiacciati e letti di contenzione oltre che a un uso scellerato di psicofarmaci, con Basaglia hanno potuto riprendersi la vita e disporre del proprio tempo. Da istituzione pensata per difendere i sani dai malati, l’ospedale psichiatrico è diventato il luogo dove persone deboli potevano essere curate e salvate.
Nel 1949, si laurea in medicina presso l’Università di Padova. In questi anni conosce l’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, sul quale baserà tutta la sua carriera psichiatrica, contrastando le idee di Lombroso, allora vigenti in ambito psichiatrico. Nel 1953 si specializza in malattie nervose e mentali presso la facoltà della clinica neuropsichiatrica di Padova.
Nel 1958 diviene docente di psichiatria presso l’Università di Padova. Tuttavia – dopo aver subito diverse ostilità per via delle sue idee rivoluzionarie, progressiste e in netto contrasto con il periodo – nel 1961 decide di lasciare l’insegnamento per trasferirsi a Gorizia con la famiglia, dove era stato nominato direttore dell’ospedale psichiatrico. Nella clinica psichiatrica di Gorizia, entra in contatto con la vera realtà psichiatrica dell’istituto, caratterizzata principalmente da trattamenti aberranti regolarmente inflitti ai malati, non considerati persone in difficoltà e da aiutare, bensì soggetti da controllare, reprimere, sedare e nascondere. Basaglia, ben presto, comincia a sostenere che il rapporto tra terapeuta e paziente dovesse basarsi su presupposti diversi da quelli vigenti, come ad esempio il dialogo e non l’annientamento dell’altro. Per questo inizia una battaglia per restituire a queste persone maggiore dignità e diritto alle cure.
In poco tempo, riesce a modificare i metodi di cura applicati in quel periodo. In primo luogo viene eliminata la terapia elettroconvulsivante, e quella farmacologica viene considerata solo un metodo per concedere la possibilità di riabilitarsi più velocemente.
Cerca di trasformare i manicomi in comunità terapeutiche, in cui medici, operatori e pazienti possiedono pari dignità e pari diritti: i rapporti non sono più verticali, bensì orizzontali, e viene privilegiata la collaborazione tra pari.
Dall’esperienza svolta in quel manicomio scaturisce l’idea che porta alla realizzazione di uno dei suoi più celebri libri: L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, edito nel 1967. Nel 1971, mette in opera l’idea dei laboratori artistici di pittura e teatro per i pazienti: attraverso la produzione artistica, i malati riescono a rappresentare se stessi e il rapporto con l’altro, comunicano i propri disagi interiori e le insicurezze, ritrovano la propria identità e si relazionano meglio agli altri. Nascono, dunque, comunità attraverso cui i pazienti possono svolgere lavori utili e anche socialmente condivisibili. Basaglia raggiunge lo scopo della reintegrazione sociale dei malati e fa notare l’inconsistenza di un processo volto alla discriminazione e disumanizzazione dell’essere umano.
Nel 1973 fonda un movimento chiamato Psichiatria Democratica, che prende spunto dalla corrente di pensiero dell’antipsichiatria. Basaglia continua a sostenere la sua battaglia contro il sistema psichiatrico del tempo finché nel 1977 ottiene la chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste. Grazie alla sua opera, finalmente, il 13 maggio 1978, due anni prima della sua scomparsa, viene ratificata la legge 180, nota appunto come “legge Basaglia”, sulla riforma psichiatrica e che porta alla chiusura dei manicomi. Si ridefinisce l’intera concezione di malattia e cura psichiatrica, rendendo la psichiatria terapeutica e riabilitativa. Tale legge, però, diviene operativa solo a metà degli anni Novanta, a causa di un sistema sociale troppo radicato e difficile da poter modificare in poco tempo. Negli anni successivi vengono istituiti, negli ospedali, dei reparti di Psichiatria, delle case d’aiuto e supporto alle famiglie, centri diurni e ambulatori gestiti da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali: personale formato e abilitato alle cure e al trattamento dei pazienti psichiatrici.
Franco Basaglia muore a Venezia nel 1980, all’età di 56 anni, a causa di una neoplasia al cervello. Dopo la sua scomparsa è stato sepolto nel cimitero di San Michele, sull’isola omonima della laguna di Venezia.
Il più grande merito di Franco Basaglia è stato quello di restituire dignità alla malattia mentale, non considerando il paziente come un oggetto da aggiustare, ma una persona da accogliere, ascoltare, comprendere, da aiutare, e non da recludere o da nascondere.