“Il Colloquio”, spettacolo del collettivo partenopeo lunAzione presentato nell’ambito della rassegna “L’Essere & L’Umano” di Artenauta Teatro nel 2023 al Teatro Diana di Nocera Inferiore, vola a New York nelle giornate dell’8 e 9 maggio per il festival teatrale “In Scena”, dedicato da oltre dieci anni al teatro in lingua italiana. La compagnia sarà in scena alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, sede di Manhattan degli studi d’italiano dell’Università di New York, e alla Bronx Academy of Arts and Dance. Due, quindi, sui cinque distretti della Grande Mela.
Alla regia dello spettacolo Eduardo Di Pietro, in scena Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino per una commedia drammatica che racconta le tre età di una stessa condizione, quella delle mogli degli ergastolani, nella sua dimensione più umana e pura. «Non è scontata la partecipazione di un testo in napoletano ad un festival del teatro italiano,» afferma Di Pietro. «Lo spettacolo andrà in scena con sovratitoli in inglese, che abbiamo realizzato nel 2020 con l’aiuto di una traduttrice campana che vive all’estero. Abbiamo voluto collaborare con qualcuno che se non è napoletano fosse quantomeno campano, proprio perché il testo mette in campo molto dialetto, un dialetto genuino e fatto anche di slang, per poter restituire l’autenticità della lingua. Ogni esperienza di questo tipo è sempre una scommessa: lo spettacolo è già stato all’estero due volte: una volta in Croazia, per il festival “Dramma di Fiume” nell’estate 2022, e ha ricevuto un buon feedback dal pubblico; la seconda volta in Svizzera italiana, un posto che ci ha dato anche molte più soddisfazioni di alcune date italiane.»
Lo spettacolo nasce innanzitutto con l’idea di raccontare una storia – una storia che però diventa discussione sociale solo una volta concluso il processo creativo che porta a caratterizzare i personaggi con delle fisicità distinte, dei lessici che cambiano a seconda del tenore della scena. «“Il colloquio” non nasce come denuncia diretta, o propriamente come teatro sociale,» spiega Di Pietro. «Volevamo partire da un esperimento umano e teatrale, infatti anche se l’ispirazione è Poggioreale, nel testo il carcere non viene mai citato esplicitamente. Ma è giusto che venga anche individuata come opera di argomento sociale, perché per qualsiasi opera il riconoscimento in schemi conosciuti viene prima della conoscenza di uno spettacolo, un film o una serie, e per il tema è naturale che rientri in questa definizione.»
Ne “Il colloquio”, tre personalità molto distinte e memorabili interagiscono nel non-spazio dell’attesa di rivedere una persona amata, e lo fanno parlando una lingua reale e realistica che oggi al di fuori del proprio territorio è diventato un marchio d’identità culturale grazie anche al successo di fenomeni serial come “Gomorra” e “L’amica geniale”, che hanno lanciato una versione “pop” di Napoli per un pubblico internazionale. «La fortuna di un gioco teatrale è che è interessante a qualsiasi latitudine. Poche settimane fa al Teatro Bellini di Napoli è andato in scena uno spettacolo in lingua giapponese, che non aveva in mente il pubblico degli expat o delle seconde o terze generazioni, che sicuramente fanno parte della platea ma in maniera minore. È quello che succede sul palco ad essere interessante,» commenta Di Pietro. «Il napoletano può sicuramente fare breccia in uno spettatore occidentale perché c’è una comunanza culturale alla radice, ed è uno dei dialetti che ha subìto un processo di internazionalizzazione grazie alle serie e al cinema,» aggiunge, «Però c’è anche un rovescio della medaglia di cui non si tiene conto, come se l’interesse per Napoli si basasse solo su un interesse esotizzato e morboso, forse frutto di una concezione che definirei ancora coloniale rispetto al Sud. Alla fine ci sono turisti che chiedono indicazioni per visitare Nisida o Scampia perché l’hanno vista in televisione, a volte bisogna anche puntare i piedi per mettere un limite.»