Capitolo cinque
Il coraggio
Si trattava di avere coraggio e prendersi la responsabilità di ammettere i propri sentimenti e nello stesso tempo salvare il benessere della propria famiglia e quindi, di conseguenza, il proprio. Il lavoro nuovo era complesso e pieno d’insidie e mi sembrava di venir trascinata dalla corrente di un torrente in piena ed io, inerme, non potevo opporre resistenza, sia sotto il profilo professionale che personale. Le emozioni mi tenevano avvolta in una sorta di limbo in cui restavo immobile e mi lasciavo trasportare dalla corrente.
Ma la quotidianità era dura da affrontare: da un lato mio figlio mi chiedeva spiegazioni sul mio comportamento, dall’altro mio marito pretendeva sua moglie, in carne e spirito. Ecco: a lui avevo detto che ero stufa di essere trattata da anni come un oggetto e che non intendevo più fare la sua bambola da sfruttare al bisogno. Non era questo che mi serviva: io avevo bisogno di un uomo che mi amasse completamente e non a fasi alterne, magari tradendo persino la mia fiducia. L’avrebbe capito? Io non potevo, come diceva la persona che mi dimostrava attenzioni, perdere di vista il mio amor proprio per quieto vivere, per dare l’immagine dell’allegra famigliola ai miei figli e agli altri.
Le femministe si erano battute per secoli per raggiungere gli obiettivi di parità e di rispetto del proprio corpo e della propria persona. Ora proprio io che mi ritenevo una femminista per antonomasia stavo accettando di venire usata per soddisfare una tantum i bisogni fisiologici di un marito immeritevole di rispetto.
Mi aveva tradito troppe volte, questa era l’amara realtà e non avrei potuto più fidarmi di lui: ciò nonostante il mio scopo principale restava la felicità dei miei figli e nessuno riusciva a capirlo. La mia era stata accantonata da anni e stavo soltanto resistendo ed aspettando il momento in cui avrei finalmente avuto la stabilizzazione lavorativa definitiva e poi scappare, cambiare vita, ottenere finalmente ciò che bramavo e forse meritavo.
Ma non potevo permettermi colpi di testa, non dovevo gettare tutto a monte, la mia famiglia, quella per la quale avevo lottato e fatto miriadi di sacrifici, di progetti. Quindi avevo deciso di vivere in questa specie di bolla di sapone gigantesca ed in questa bolla avrei fatto entrare solo chi mi donava serenità e qualche sorriso, senza prendere decisioni avventate. Magari sarebbe finito l’idillio, mi sarei risvegliata da questo sogno inaspettato fatto d’amore e battiti accelerati del cuore e a quel punto avrei perso Filippo e panaro, per dirla alla milanese.
Razionalmente era così e sapevo pure che i miei incontri clandestini con lui dovevano diminuire: solo così avrei potuto vedere le cose con maggiore lucidità ed anche lui sarebbe stato più tranquillo, meno geloso. La situazione a lungo andare, sarebbe diventata intollerabile, lui non avrebbe accettato per sempre che io abitassi con un altro. Non volevo neppure immaginare cosa sarebbe successo se la nostra storia fosse stata scoperta. La paura anziché diminuire, aumentava giorno dopo giorno ed anche io, per quanto innamorata, mi sarei stufata: ma poi, ero innamorata di lui o dell’idea che spasmodicamente amavo di un uomo che in realtà non era? Insomma, era davvero l’uomo della mia vita o l’ennesimo abbaglio?
Non era solo questione di coraggio, quindi. Tutt’altro: in conto c’erano altre questioni più urgenti e rilevanti da affrontare ed avevo promesso a me stessa, che avrei mantenuto la mia dignità senza perdere i miei figli.
Annalisa Capaldo