Un «amore più grande». È questo quello che sollecita mons. Giuseppe Giudice alla Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno nella solennità di san Prisco.
Il patrono della Diocesi e della Città di Nocera Inferiore è testimone di un «segreto» che «è: l’amore più grande, un amore che si dona».
Un amore che si esprime in innumerevoli sfaccettature affinché possa «brillare negli occhi di tutti» rendendoli «attuali testimoni luminosi».
Il Vescovo ha richiamato in particolare la Diocesi e chi opera nella comunità affinché «questo amore più grande diventi la trama della nostra pastorale».
Mons. Giudice ha fatto una analisi introspettiva che può apparire ingenerosa ad alcuni, ma molto realistica per altri.
In particolare, per i tanti che dal sagrato provano ad accedere nelle nostre comunità trovando non sempre braccia accoglienti.
Ha detto, infatti, che la pastorale è «tante volte asettica e anemica, scialba e senza passione, che invece di andare ad gentes si ostina, si inceppa, stagnando nel permesso per un certificato che, non poche volte, certifica solo la nostra inadeguatezza dinanzi ad un mondo che da noi chiede ben altro: si, un amore più grande, un cuore missionario, capace di leggere i segni dei tempi, ancorato alla sana dottrina, ma senza farla diventare macigno che opprime e rallenta il cammino».Uno sguardo ed un abbraccio accogliente verso il prossimo, specialmente i più fragili.
Perché «nella stima reciproca, nell’umile coscienza che nessuno è degno del dono ricevuto», si dia «nuovo impulso alle zone pastorali, le foranie» e non si faccia «delle parrocchie cittadelle chiuse ed impenetrabili», anzi si «osi una pastorale sinodale che, mentre ci libera da tante incombenze inutili, ci faccia offrire a questo mondo frantumato uno spettacolo di comunione, di fraternità, di relazioni leali, non ammalate di gelosie e invidie».
Il «mondo», ha rimarcato, «non deve sentirsi allontanato dalle nostre piccole guerre».
Un cambio di paradigma e di linguaggio: «Non si può oggi parlare in generale, in un linguaggio confuso e difficile, ma bisogna osare un alfabeto che tocchi le corde del cuore, un parlare appassionato e mai concitato o offensivo».
Soprattutto, è il caso di vigilare «su quando ci esaltiamo tra le volute dell’incenso, che più che verso Dio sono rivolte verso gli altari dell’io».Ritrovare, quindi, uno stile «evangelico», che «nella fermezza apostolica» non edulcori il Vangelo «per proteggere la fede dei piccoli», «facendo argine nelle nostre Comunità a tutte quelle persone, come noi sempre bisognose di conversione, che – presumendo – spargono sfiducia e zizzania, malumori ed inquietudini, allungando la lista di coloro che non edificano né la Città e né la Chiesa».
Un’omelia molto forte nella quale il Vescovo ha voluto però sollecitare una riscossa, una conversione. «Questo amore più grande, dono del Risorto ai risorti, che sono gli amici del Signore, ci chiede sulla luminosa testimonianza di San Prisco di essere vigilanti e di vigilare sulla nostra vita e sulla vita di fratelli e sorelle che, a noi affidati, camminano con noi verso il Regno».
«Servendo il mondo, questo mondo che vertiginosamente cambia, non possiamo forse costruire insieme, ognuno al proprio posto, un nuovo tassello nel grande e stupendo mosaico della storia della salvezza, capace di suscitare ancora meraviglia? In quest’opera, interceda per noi San Prisco, primo Vescovo e protettore della Diocesi»