Dalla Francia solitamente cartesiana, arriva una lezione per tutti. Nel giro di pochi giorni, il cambiamento può arrivare. La Francia ha dato addio al passato ripresentatosi sotto forma di Le Pen e Bardella: nazionalismo, populismo, un filo di nazismo e un tocco di razzismo. L’ha fatto con il campo largo, anzi larghissimo, con una strategia precisa: il patto di desistenza (al posto della resistenza), facendo votare in massa da due elettorati diversi il candidato che al primo turno era andato meglio contro il lepenniano di circoscrizione. Facendo i paragoni con la nostra prima Repubblica, è come se avesse messo assieme democristiani di base, comunisti, socialisti, repubblicani, socialdemocratici, liberali di sinistra e Pdup. La legge elettorale francese che pur ammettendo il terzo incomodo di solito al ballottaggio premia due attori, stavolta si è tripolarizzata, grazie alla desistenza tra centristi macroniani e di una sinistra dalle ampie sfaccettature. Se trasportiamo il contesto nell’Italia attuale, al di là delle diversità della legge elettorale, vuol dire per la sinistra avanti col campo largo e per la destra che si può essere attendibili in Europa solo eliminando l’ala estrema. Macron è diventato un piccolo Chirac: non ha vinto e non ha perso (Attal proposito, ci sarà un nuovo premier). Melenchon ha vinto ma non governerà di persona. Il nuovo primo ministro sarà probabilmente un moderato di sinistra capace di tenere assieme una maggioranza composita e per certi versi contrastante: si parla di Glucksmann. E la lezione che arriva all’Italia si può trasportare anche a livello locale ? No, quando ci sono le maggioranze arlecchino, cosa ben diversa dal barrage o dal patto di desistenza per evitare che trionfi il “peggiore” o il “male maggiore”, maggioranze qualunquiste e non terziste. Però siamo curiosi di leggere sui social le interpretazioni che arriveranno dai filosofi di destra e di sinistra che hanno scelto Arlecchino senza fiatare quando si è trattato di andare a votare.
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