In sociologia la questione dei conflitti è imprescindibile ed io, in modo imparziale e quasi asettico, cerco di comprenderne le motivazioni, analizzando pareri autorevoli, contestualizzandoli.
La presenza di conflitto è una condizione normale, anche se problematica, della vita sociale e nell’epoca di Facebook, WhatsApp e Instagram il tutto viene enfatizzato all’ennesima potenza, spesso senza valide ragioni o per post puerili.
Secondo G. Simmel, che ne sa più di me, il conflitto è una forma fondamentale di interazione sociale, che coinvolge necessariamente almeno due parti. Di fronte a un altro essere umano ci troviamo infatti dinanzi al seguente dilemma: l’altro è risorsa o problema? Amico o nemico?
Ma perché si finisce per identificare una persona come nemica senza dei veri presupposti?
Il conflitto nasce nel momento in cui una parte tende a considerare le intenzioni o le azioni della parte opposta come un impedimento o una minaccia al conseguimento dei propri obiettivi. Si può dire che il conflitto ha per scopo la soluzione di tensioni divergenti nei vari ambiti della vita sociale. Tali tensioni possono avere una pluralità di cause, sono assai frequenti e si riproducono continuamente. È la loro assenza, e non la loro presenza, che va considerata come una condizione straordinaria: la pluralità degli attori, la contrapposizione degli interessi, i diversi orientamenti culturali e valoriali, i differenziali di potere e di status, l’esistenza di confini di gruppo, sono tutti fattori che possono generare dei conflitti. Su queste basi si originano poi delle lotte – condotte in modi e con strumenti molto diversi – dirette ad acquisire prestigio, potere e risorse, e a neutralizzare, ferire o eliminare il rivale.
Ma quando non vi sono elementi reali di conflittualità, bensì solo battute sarcastiche sui social, post più o meno offensivi rivolti a taluno o talaltro privi di effettiva sostanza, diventa tutto ridicolo, alla stregua di pettegolezzi da cortile.
Per Dahrendorf i conflitti possono altresì costituire uno stimolo al confronto e al cambiamento, oltre che un efficace canale di selezione delle classi dirigenti di una collettività: qui intendo concentrarmi. Anzichè litigare sui social non sarebbe più opportuno parlarne de visu?
La seconda radice del conflitto è quella su cui si è concentrata prevalentemente la tradizione marxiana e che francamente riesco a comprendere istantaneamente. Secondo questa scuola di pensiero, è l’accesso alle risorse, in particolare quelle economiche, che costituisce la ragione di fondo della continua insorgenza del conflitto. La disuguale distribuzione delle risorse – che è all’origine della disuguaglianza sociale – tende a generare gruppi di interesse ciascuno dei quali persegue obiettivi in contrasto con quelli degli altri. Quando si è in presenza di una situazione in cui le risorse sono limitate e i vantaggi dell’uno si traducono in svantaggi per l’altro i conflitti tendono a inasprirsi, mentre vengono più facilmente gestiti quando è possibile distribuire quantità crescenti di risorse.
Secondo Schmitt il nemico viene sempre costruito e inventato in relazione alle esigenze di identità di cui il gruppo ha bisogno. È infatti proprio grazie alla contrapposizione con un nemico esterno che il gruppo riesce a creare e stabilizzare la propria identità. Quanto più il rapporto con il nemico esterno è conflittuale (e persino violento), tanto più stretto e significativo diventa il rapporto tra coloro che fanno parte del gruppo. Per questa ragione, il nemico viene caricato di qualità negative (immorale, violento, infedele, traditore ecc.).
Sociologicamente il conflitto ha dunque una natura profondamente ambivalente: da un lato esso può avere effetti distruttivi sulla vita sociale e diventare il fattore da cui scaturiscono violenza e distruzione; dall’altro costituisce un elemento fisiologico della vita sociale, che rende possibile l’accomodamento tra persone e gruppi diversi.
Esso può inoltre svolgere anche importanti funzioni sociali, organizzando le parti e conferendo identità: ma quando in ballo non ci sono interessi economici, politici o sociali che senso ha prendersela con qualcuno? Che valore ha il giornalismo se diventa una specie di botta e risposta senza una soluzione o un chiarimento tra le parti?
La risoluzione dei conflitti mette insieme le persone affinché trovino la soluzione a un problema, piuttosto che separarle e la comunicazione assume valore pregnante in questo senso; essa è fondamentale in ogni rapporto, che si tratti di un rapporto personale o professionale.
Se non comunichi i tuoi pensieri e le tue sensazioni alle persone che ti circondano, come puoi aspettarti che capiscano come ti senti?
Una comunicazione aperta può inoltre impedire che il problema abbia un’escalation. Infine l’ultima cosa che si dovrebbe fare durante un conflitto è darsi la colpa a vicenda. Non si dovrebbe puntare il dito, rispondere alle offese a caldo, scrivendo cose che non portino alla risoluzione delle tensioni.
Annalisa Capaldo