Questo pezzo nasce da una battuta Facebook: da quando il gossip ha preso il sopravvento sul resto in politica ? Sonia Bicchielli c’ha fatto notare “da quando qualcuno è sceso in campo”. Qualcuno che ci pare persino superfluo nominare. Ma noi siamo andati più indietro nella storia della politica e del costume della nostra Italia (all’epoca il termine gossip non esisteva).
Prendete Lungara 29, un prezioso libro sul cosiddetto caso Montesi pubblicato da Polistampa. Si tratta di una raccolta di 27 lettere spedite da Leone Piccioni al fratello Piero recluso a Regina Coeli (il vecchio carcere di via della Lungara, a Roma, appunto) mentre quest’ultimo era recluso, a fine 1954, con l’ingiusta accusa (venne prosciolto completamente e definitivamente da ogni addebito) di essere in qualche modo coinvolto nella morte di una ragazza romana, Wilma Montesi, trovata senza vita sulla spiaggia di Torvajanica nell’aprile del 1953.
Fu un caso assai clamoroso, perché Piero Piccioni, oltre ad essere un ottimo musicista (autore di numerose, celebri colonne sonore) con la passione del jazz, era anche figlio di Attilio Piccioni. In quelle settimane, Attilio Piccioni, tra i fondatori del partito della Democrazia cristiana, era il naturale candidato alla successione di Alcide De Gasperi, morto proprio nella primavera del 1954. Guarda caso, all’indomani della morte dello statista trentino, il figlio di Piccioni venne chiamato in causa nel caso Montesi. La vicenda giudiziaria apparve subito opaca.
Eppure, Piccioni senior (in quei mesi prima presidente del Consiglio incaricato, poi Ministro degli Affari Esteri, nella foto accanto con Fanfani e Moro) decise di fare un passo indietro e di dimettersi da ogni carica, per non rischiare di “macchiare”, sia pure per interposta persona, l’immagine delle istituzioni. Come s’è detto, dopo tre mesi di detenzione, Piero Piccioni fu prima rimesso in libertà vigilata e poi, al termine di un lungo e complesso iter giudiziario, totalmente scagionato. Ma a quel punto, la gestione della Dc era passata nelle mani del giovane e intrigante Amintore Fanfani il quale, pur partendo da posizioni popolari, approfittò del suo successo per portarla nelle braccia della destra d’allora.
Insomma, la storia ci dice nettamente, inequivocabilmente, che il caso Montesi – tramite il coinvolgimento pretestuoso di Piero Piccioni – favorì la scalata di Fanfani nella Dc e modificò il destino del nostro Paese che allora, prima con l’ultima fase politica di De Gasperi e poi con Attilio Piccioni, marciava verso un accordo storico tra il blocco popolare e quello socialista d’ispirazione “democratica”. Accordo che, dopo lo stop imposto da Fanfani nel 1954, dovette aspettare nove anni per essere realizzato (grazie al lavoro politico di Pietro Nenni e Aldo Moro).
Questa lunga premessa è indispensabile alla corretta lettura del libro in questione (nel volume, la limpida introduzione di Stefano Folli serve proprio a ciò). Perché la famiglia Piccioni (la nostra Gloria Piccioni – che di Attilio è nipote, e che di Leone, autore delle lettere, è figlia – ha curato il volume) per la prima volta dal 1954 dice qualcosa di pubblico sul Caso Montesi. E questa è già un’altra lezione della storia: pensate alla sobrietà e allo stile di una famiglia così in vista che per più di sessant’anni mantiene il riserbo su una vicenda (falsa, montata ad arte come è dimostrato da processi e sentenze) che l’ha letteralmente gettata nel fango! Ma il meglio di queste 27 lettere, da fratello a fratello, è in altre due lezioni di vita. La prima: una fiducia senza riserve nella giustizia. Oggi, qualunque ladro conclamato, purché dotato di una qualche rilevanza pubblica, strepita e urla, a ogni legittima condanna, contro una presunta “giustizia a orologeria”, contro le “sentenze politiche”. Rispetto per le istituzioni e le regole condivise, oggi: zero. Leone Piccioni, nel rincuorare il fratello insiste ogni volta sul fatto che la magistratura avrebbe di sicuro corretto l’errore ristabilendo la verità. E ditemi voi se, al contrario, in quel caso non si trattò proprio di “giustizia a orologeria”: il coinvolgimento di Piero Piccioni fece fallire il tentativo del padre di formare un governo tra Dc e Psdi. La seconda lezione è un senso di quieta speranza – cristiana – che pervade queste lettere: mai Leone Piccioni si perde d’animo; sempre confida in quella che lui chiama Divina Provvidenza la quale avrebbe riequilibrato giustizia e valori.