Recentemente le settimane passano come un treno, ma non un treno qualsiasi, ma come il giapponese Shinkansen, soprannominato il treno proiettile, capace di raggiungere oltre i 600 km/h: ti ritrovi
catapultato nel weekend senza aver cognizione del tempo. Già, con il pasticcio dell’ora solare/legale, che
ogni anno crea scompensi ai nostri ritmi biologici, ci ritroviamo proiettati verso le festività natalizie, senza aver preso completamente coscienza che, purtroppo, anche l’estate del 2024 è stata archiviata. In questo disorientamento temporale totale, stamattina, come faccio più di rado in questi ultimi tempi, mi sono messo alla ricerca di musica nuova. Ormai chi mi conosce sa che da anni ho l’abitudine di andarmi a cercare proposte musicali interessanti nel mare magnum degli artisti indipendenti, musici poco noti alle masse.
Non è un vezzo snobista, ma una pura esigenza di ricerca sonora: le mie ultime considerazioni sulla sperimentazione sonora potranno chiarire la natura di questa esigenza (Leggi GODLESS LAND, IL DARK AMBIENT DI DRONNY DARKO). Stamattina sono stato fortunato perché non ho dovuto bighellonare troppo nella rete per trovare qualcosa di veramente interessante, sia musicalmente che testualmente. L’interesse suscitato dal titolo dell’album mi ha subito attratto: Dreamachine, la macchina dei sogni. I sogni, come chiede spesso il buon e inossidabile Marzullo, con la sua immancabile richiesta “Si faccia una domanda e si dia una risposta” aiutano a vivere? Domanda profonda e complessa allo stesso tempo…
dipende dai sogni che fai… sperando sempre che siano realizzabili. Uno ci crede e ci prova, tanto non costa niente…
Questa macchina dei sogni che ho scoperto, invece, affronta tematiche umanamente rilevanti, con testi di significato e profondità, che esplorano una varietà di temi emotivi e filosofici: trasformazione e crescita personale, desiderio e fuga, amore, ribellione e realtà, spiritualità e trascendenza. Questi testi sono contenuti musicalmente in un’opera che combina elementi di post-punk, pop sperimentale e disco vintage, creando un’atmosfera ipnotica e interessante. Il sound che ne deriva è unico:
una combinazione di elementi di garage rock e influenze musicali medio-orientali. Queste ultime si evincono chiaramente grazie alle radici della vocalist Rahill Jamalifard, figlia di immigrati iraniani. Nella caotica e pulsante Brooklyn, che noi ragazzotti più aged ricordiamo per la famosa gomma del ponte, nasce nel 2011 il gruppo rock HABIBI, una band americana newyorkese co-fondata da Rahill Jamalifard e Lenny Lynch. Il duo si mette subito in evidenza grazie all’unione dei loro stili unici e influenze culturali diverse.
Il loro album di debutto omonimo del 2014 ha ricevuto elogi per la sua fusione di surf pop anni ’60 con un tocco moderno. Negli anni, hanno continuato a sperimentare con il loro suono, incorporando elementi del folklore iraniano e della musica mediorientale.
Con il loro ultimo album, Dreamachine, uscito nel 2024, hanno nuovamente spinto i confini dei generi musicali: questo album segna un’evoluzione significativa dalle loro radici garage rock, fondendo elementi analogici e digitali per creare un’esperienza d’ascolto ricca e immersiva. Dreamachine è una testimonianza della crescita di HABIBI e della loro volontà di esplorare nuovi territori musicali: l’album abbraccia generi musicali molto diversi. Il risultato è un’esperienza uditiva ipnotica che porta gli ascoltatori in un viaggio di trascendenza spirituale e fisica. Nove sono le tracce dell’album: On The Road, In My Dreams, POV, Do You Want Me Now, Interlude, My Moon, Losing Control, Fairweather Friend, Alone Tonight. La qualità della produzione è di altissimo livello, con un suono chiaro e lucido che bilancia il calore analogico con la precisione digitale. La strumentazione in Dreamachine è diversificata, con una miscela di strumenti rock tradizionali come chitarre, basso e batteria, insieme a sintetizzatori, tastiere ed effetti elettronici. Questa
combinazione crea un suono ricco e strutturato, che è allo stesso tempo retrò e futuristico. Il processo di mixaggio e mastering assicura che ogni elemento musicale sia ben bilanciato e chiaro. Le voci sono in primo piano, mentre la strumentazione fornisce uno sfondo dinamico e coinvolgente. Come anticipatovi, i testi sono molto belli e pregni di significato. In On The Road il testo parla di un viaggio personale, sia mentale che fisico, e delle sfide che si incontrano lungo il percorso. In My Dreams si esplora
tema dei sogni come rifugio dai problemi reali. In Do You Want Me Now si affronta la vulnerabilità e la ricerca di connessione amorosa, esplorando le dinamiche emotive delle relazioni.
A mio giudizio, i brani più belli e significativi sono My Moon e Losing Control. Quest’ultima ha un testo profondo sul destino e la perdita della visione personale, esplorando l’inevitabilità delle circostanze e la lotta per mantenere il controllo sulla propria vita. La voce enigmatica di Rahill Jamalifard e l’atmosfera ipnotica dell’album contribuiscono a creare un’esperienza di ascolto intima e profonda.
Dreamachine è una scoperta fortunata, fatta alla prime luci dell’alba di un giorno che, secondo tradizione è dedicato alla commemorazione dei defunti, un parallelismo involontario tra tematiche umanamente rilevanti: la vita e i suoi sogni, la morte e il suo tragico mistero.
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