Ai nostri beniamini musicali spesso capita di star fuori dalle scene per qualche anno, capita di non pubblicare album per diverso tempo. Le cause sono tra le più disparate: incomprensioni, periodi non particolarmente ispirati, perdite importanti. Questo 2024 ha visto il ritorno discografico di moltissimi artisti e band che, dopo anni di silenzio, si sono ributtati nella mischia con un nuovo lavoro musicale. A volte i ritorni, si sa, possono essere trionfali o dei fiaschi colossali. Secondo il mio modesto giudizio, possiamo menzionare, tra i ritorni recenti più eclatanti, quello di David Gilmour, The Cure e dei Linkin Park. Ritorni animati da motivazioni diverse, ognuno con la propria storia, ognuno con una propria prospettiva.
Partiamo da Gilmour
Dopo quasi nove anni dal suo ultimo lavoro di inediti del 2015 “Rattle That Lock”, il 6 settembre 2024 David Gilmour pubblica “Luck and Strange”, album che segna il ritorno sulle scene musicali dell’ex Pink Floyd. La genesi di Luck and Strange è stata influenzata in parte dalle restrizioni e dalle riflessioni durante il lockdown dovuto alla pandemia di COVID-19. Durante questo periodo, Gilmour e la sua famiglia hanno eseguito musica in livestream, il che ha ispirato Gilmour a esplorare nuove idee musicali e a discostarsi dal passato con i Pink Floyd. La maggior parte dei testi dell’album sono stati scritti dalla moglie di Gilmour, Polly Samson, e affrontano temi di mortalità e invecchiamento. L’album è stato registrato con la partecipazione di musicisti come Guy Pratt e Tom Herbert al basso, Adam Betts, Steve Gadd e Steve DiStanislao alla batteria, e Rob Gentry e Roger Eno alle tastiere. La traccia “Luck and Strange” include tastiere registrate nel 2007 dal tastierista dei Pink Floyd, Richard Wright, che è morto nel 2008.
Per quanto riguarda The Cure, il 1° Novembre 2024, dopo 16 lunghi anni di silenzio, Robert Smith e soci pubblicano il loro ultimo lavoro discografico “Songs of a Lost World” che sancisce il ritorno ufficiale della band. Un periodo di silenzio molto lungo dall’uscita del precedente album del 2008 “4:13 Dream”. Un silenzio prolungato dovuto soprattutto dalla difficoltà di Robert Smith nel trovare l’ispirazione giusta e di creare qualcosa che rispecchiasse il vero spirito dei Cure. Inoltre, la band ha avuto una intensa attività dal vivo durante questi anni, il che ha contribuito a rallentare il processo di registrazione in studio. Infatti l’album è stato registrato dopo un lungo tour e contiene tracce che hanno avuto origine dal vivo. Smith ha dichiarato che l’album è una meditazione sul tempo che passa e sulla vita, una riflessione su come il mondo abbia smarrito lo slancio progressista e ottimista verso il futuro.
Un sapore diverso, invece, ha il ritorno dei Linkin Park, un misto di tristezza e gioia allo stesso tempo. Tristezza dovuta soprattutto alla scomparsa di Chester Bennington, cantante e frontman della band. Gioia dovuta al ritorno di questo progetto musicale made in Usa, capace di rinnovare la musica rock con un linguaggio nuovo. Secondo il mio giudizio, i Linkin Park e i Limp Bizkit hanno avuto il dono di innovare il rock, staccandolo dalle tradizioni e traghettandolo nella musica moderna. La tristezza per la perdita di Chester ha avuto un impatto emozionale molto forte sui fan e non solo. Egli ha lottato con la depressione e l’abuso di sostanze per gran parte della sua vita, e ha spesso parlato apertamente delle sue difficoltà mentali. Il 20 luglio 2017, Chester Bennington è stato trovato morto nella sua casa a Palos Verdes Estates, California: suicidio. La pubblicazione del nuovo album “From Zero”, sancisce la rinascita della band, una ripartenza con un nuovo cantante, Emily Armstrong, per affrontare la sfida: calmierare un vuoto incolmabile. Anche alla batteria c’è stato un avvicendamento con Colin Brittain. From Zero cerca di camminare su un filo sottile: omaggiare il passato senza rimanervi prigioniero. Il tentativo è lodevole, ma sarà stato convincente?
Sono consapevole che, per quanto scriverò in queste righe successive, genererò molti mal di stomaco ai fan più attivi e agli appassionati più accesi: è comprensibile e umano essere in disaccordo con opinioni del tutto soggettive.
Come ho affermato nelle righe iniziali a volte i ritorni possono essere trionfali o dei fiaschi colossali. Nel caso di questi 3 giganti della musica mondiale, i ritorni non sono stati convincenti. Le mie aspettative, nei confronti di queste 3 uscite, erano molto alte e sono state disattese ampiamente. Vi dirò perche articolando il mio pensiero.
Parto da zero, anzi, da From Zero: è stato un ascolto difficile. Emily Armstrong ha una voce molto diversa da quella di Chester Bennington. La sua interpretazione potrebbe non convincere tutti i fan dei Linkin Park, compreso il sottoscritto: il legame emotivo con la voce di Chester è forte. La scelta di Armstrong come vocalist è stata sicuramente audace e potrebbe richiedere un po’ di tempo per abituarsi. È encomiabile il tentativo della band di cercare di andare avanti, ma io preferisco le sonorità originali. Un po’ come i Van Halen senza David Lee Rooth alla voce: no good!
Per quanto riguarda il ritorno dei Cure, l’album non ha avuto su di me lo stesso impatto di un tempo, l’ho trovato un po’ datato e ripetitivo. Penso che sia un disco non brillante, cupo, troppo legato al passato, senza brani degni di nota. È vero che alcuni artisti tendono a rimanere ancorati al loro stile originario, ma questo può generare un lavoro che risuoni ripetitivo e meno innovativo. Mi aspettavo qualcosa di nuovo, meno triste e nostalgico, più fresco e arioso. Le mie aspettative per un album dei Cure, specialmente dopo una lunga pausa, sono state sicuramente molto alte a causa della connessione emotiva che ho con i loro album classici: questo rende difficile accettare nuove uscite che non raggiungono lo stesso livello di impatto emozionale. Forse sono gli stati d’animo a giocare un ruolo importante nell’assorbimento di un disco, magari queste sonorità malinconiche non fanno più parte del mio essere nel presente. Forse nel passato… A parte l’impatto emozionale, anche musicalmente non ha colpito la mia attenzione.
Ho lasciato Gilmour come ultimo, perché devo spendere qualche parola in più sull’artista. I lavori da solista dell’ex Pink Floyd non mi hanno mai colpito particolarmente. Trovo il maestro un soggetto molto furbo, capace di non autorigenerarsi, capace solo di riproporre in serie, molto furbescamente, temi, atmosfere e “celle” appartenenti alla sua formazione artistica. Un galleggiare perenne nella sua comfort zone, con le stesse soluzioni armoniche e stessi suoni e stili, proposti e riproposti più volte. E’ il mio personalissimo giudizio, condiviso anche da molti critici. Tra l’altro, confrontandomi con amici cultori del vinile, ho scoperto che la qualità sonora della registrazione del disco è molto discutibile, una mancanza nella cura dei particolari che non ti aspetti da uno con un passato e un nome di quel calibro.
Concludendo, le aspettative per i lavori di questi artisti sono sempre molto alte e quando un album non riesce a soddisfarle, la delusione può essere grande. La contraddizione assurda è che hanno deluso sia chi è rimasto ancorato ai loro stili precedenti senza esplorare nuove direzioni (Gilmour/The Cure) e chi ha tentato di proporre qualcosa di diverso (Linkin Park): per la serie non tutte le ciambelle riescono con il buco.