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Campo sportivo di Pagani, Mario Gallo saluta Marrazzo, suo vecchio amico. A sinistra Giuseppe De Prisco, divenuto poi grande distributore di giornali e riviste nelle edicole del Salernitano. Si vede anche il popolare Guappetiello, grande tifoso azzurro. Joe Marrazzo assisteva a un derby vecchia maniera. Era tifosissimo della Nocerina: nei tanti viaggi di lavoro all’estero, di domenica a una certa ora, chiedeva a qualche amico via telefono: Ma c’a fatt a Nocerina ? La passione rossonera fu poi trasmessa al figlio Piero (si narra di un suo tesseramento col club molosso da ragazzino, tesseramento fortemente voluto ma con valore soltanto simbolico). Il calcio era una passione, da condividere con l’amico e collaboratore Jovane, con Stanzione e Peppino Di Florio (che da ragazzino aveva diviso con Marrazzo l’impegno di scrittura per Il Progesso Italo-Americano). Il giornalismo era diventata un’arte per lui. L’arte di raccontare quel che vedeva (i famosi Dossier), di scrivere quel che la Campania aveva vissuto (capolavoro Il Camorrista), di metterci la faccia (consigliere comunale eletto come indipendente per il Pci negli anni di piombo, non terroristico ma camorristico). Quarant’anni sono passati dalla morte (27 febbraio 1985), nel frattempo, grazie al libro recente del figlio Piero (Storia senza eroi) abbiamo scoperto un Marrazzo padre e marito inedito (controverso e tutto particolare). Qualche mese fa, Nocera l’ha ricordato con una targa apposta dinanzi alla cortina di Casale del Pozzo dove nacque, a dimostrazione di un legame rimasto forte tra la città e il giornalista che meglio l’ha rappresentata a livello nazionale, inferiore in termini di linguaggio solo a Mimì Rea, che scriveva per i giornali ma era uno scrittore di prima fascia. 40 anni sono trascorsi dal giorno dell’addio alla vita. Però la lezione di Marrazzo non è andata persa. Pur nell’era dei social e della comoda poltrona, c’è chi ancora giornalismo d’inchiesta, pochi ma buoni, invece Marrazzo era semplicemente unico.