
La Quaresima è un periodo centrale nella tradizione cristiana, segnato da penitenza, riflessione e preparazione alla Pasqua. Il termine deriva dal latino quadragesima dies e indica i quaranta giorni che intercorrono tra il Mercoledì delle Ceneri e il giorno della Resurrezione. Il numero quaranta, però, non è casuale: nella Bibbia ricorre più volte come simbolo di prova e trasformazione.
Si parla di quaranta giorni nel diluvio universale, nei giorni trascorsi da Mosè sul monte Sinai, negli anni passati dagli Ebrei nel deserto prima di entrare nella terra promessa. Quaranta sono anche i giorni dati a Ninive per la conversione, quelli che Gesù trascorre nel deserto prima di iniziare la sua missione, e il periodo in cui i catecumeni si preparano al battesimo. Il concetto è stato ripreso anche nella cultura laica, dando origine, ad esempio, alla quarantena per le persone sospettate di essere contagiose.
La Quaresima, quindi, è un tempo che richiama la purificazione, sia spirituale che materiale. Nella liturgia cattolica prevede digiuno, preghiera e carità, mentre nella cultura popolare ha dato origine a tradizioni e riti simbolici, molti dei quali ancora oggi sopravvivono nel Sud Italia.
Tra questi, un ruolo particolare è occupato dalla Quarantana, una bambola vestita di nero che viene appesa il Mercoledì delle Ceneri tra i vicoli o fuori dalle abitazioni. È una figura che rappresenta la penitenza e il sacrificio, simboleggiando l’inizio di un periodo di restrizioni. La Quarantana tiene sotto la veste una patata o un’arancia, nella quale sono infilate sette piume: sei nere e una bianca. Ogni domenica si rimuove una piuma nera, mentre l’ultima, quella bianca, viene tolta la mattina di Pasqua, segnando la fine della Quaresima e l’arrivo della Resurrezione.
Le sue origini potrebbero essere legate a credenze pagane. Alcune interpretazioni la ricollegano alla figura delle Parche, le tre divinità della mitologia greco-romana che tessevano, misuravano e recidevano il filo della vita. Il fuso che la Quarantana spesso tiene tra le mani potrebbe essere un rimando a questa iconografia, successivamente reinterpretata in chiave cristiana.
Nel Sud, la Quaresima non era solo un periodo di astinenza spirituale, ma anche alimentare. Nei secoli passati, il digiuno imposto dalla Chiesa si traduceva in una dieta molto povera. Tra i cibi tipici di questo periodo c’erano fichi secchi, fave, broccoli, rape, fagioli, carrube e pesce povero come baccalà e alici. Questo si riflette anche nelle numerose filastrocche popolari, molte delle quali ironizzano sulla semplicità del cibo quaresimale. Un detto ancora oggi diffuso recita: “Quaresima secca secca, chi la rispetta campa e chi non la rispetta crepa”, a sottolineare il rigore con cui veniva osservata.
Anche la musica subiva un cambiamento. Durante la Quaresima, le campane venivano “legate”, cioè messe a tacere, e al loro posto veniva usata la troccola, uno strumento in legno e ferro che veniva agitato per richiamare i fedeli alla preghiera.
Oggi molte di queste usanze stanno scomparendo, ma in alcune comunità del Sud la Quarantana continua a essere esposta, soprattutto grazie all’impegno di associazioni locali che cercano di preservare il folclore. Se un tempo era un simbolo temuto, oggi è diventata una testimonianza della cultura popolare, un frammento di memoria collettiva che resiste al tempo.
In alcune località del Sud Italia, la Quarantana non viene semplicemente rimossa alla fine della Quaresima, ma distrutta in modo rituale. In alcuni paesi si usa bruciarla, mentre in altri viene fatta esplodere con petardi, in un gesto che simboleggia la fine delle restrizioni e il ritorno alla vita. Questo rito richiama le antiche celebrazioni della primavera, quando il fuoco veniva utilizzato per allontanare il vecchio e favorire il rinnovamento.
Le comunità che ancora oggi mantengono viva questa tradizione spesso organizzano eventi folcloristici intorno alla Quarantana. Le scuole coinvolgono i bambini nella realizzazione delle bambole, le associazioni culturali promuovono esposizioni e incontri per spiegare il valore storico di questa usanza, e nei piccoli borghi si organizzano processioni simboliche che accompagnano la Quarantana fino al momento della sua distruzione.
Oltre alla bambola, le filastrocche popolari rappresentano un altro elemento della tradizione legato alla Quaresima. Queste composizioni, spesso ironiche, giocano sul concetto di privazione alimentare e sulla semplicità del cibo quaresimale. In alcune versioni, la Quaresima viene vista quasi come una figura “birbante”, che priva la gente dei piaceri della tavola:
Filastrocche della Quaresima nel Sud Italia
A Nola si recitano due filastrocche:
“Quaravesema quarantana
sette dummeneche e sei semmane.”
“Quaravesema secca, secca,
damme ‘nu sordo ‘e fiche secche,
e si nu’ mme ddaje bbone,
Quaravesema mariola.”
A Lauro si tramandano queste rime:
“Quaravesema secca secca,
cu’ ‘na sporta ‘e fiche secche,
cu’ ‘na sporta ‘e ruoccole ‘e rapa.
Quaravesema ‘nzuccarata.”
“Quaravesema secca secca,
se mangiava e fiche secche;
le ricette dammene una,
me chiavave nu cavece ‘n culo;
le ricette dammene nata,
me chiavave ‘na zucculata.”
A Marigliano la filastrocca prende una sfumatura più ironica:
“Quaravesema secca e longa,
s’ha mangiato ‘e pacche longhe (carrube),
cu’ ‘na puca (lisca di pesce) ‘e baccalà
Quaravesema, che scialà!”
A Quindici si trovano due versioni:
“Quaravesema secca e longa
se mangiava ‘e pacche longhe;
pe’ na puca ‘e baccalà
nu’ potette chiù parlà.”
“Quaravesema birbante
‘a pòzzane accirere quanno vene
che magnà buono nu tene
che saràche e baccalà.”
A Visciano si trova una variante di quella di Lauro:
“Quaravesema secca secca,
se mangiaje a ficusecca.
le ricette dammene una,
me menaje lu trapanature,
le ricette dammene nata,
me menaje na zucculata.”
Queste rime, spesso ripetute dai bambini, avevano la funzione di rendere più accettabile il periodo di privazioni, trasformando il digiuno in un gioco di parole e in un momento di condivisione collettiva.
Nonostante il passare del tempo e il cambiamento degli stili di vita, la Quarantana continua a rappresentare il legame tra passato e presente. Se un tempo la sua presenza era vissuta con severità, oggi è diventata un simbolo del patrimonio culturale del Sud, testimone di una società che, pur evolvendosi, conserva tracce della propria identità nelle piccole usanze tramandate di generazione in generazione.
L’attenzione che alcune comunità stanno dedicando alla valorizzazione della Quarantana dimostra che le tradizioni popolari non sono destinate a scomparire, ma possono essere reinterpretate e adattate ai tempi moderni. La sua immagine continua a riaffiorare ogni anno, appesa tra i vicoli, tra passato e futuro, tra memoria e rinnovamento.