
Basta femminicidi!
Ho dovuto somatizzare il colpo come donna, prima ancora che come giornalista, perché ad ogni femminicidio mi si dileguano le parole e mi resta una rabbia interiore inenarrabile.
Sara Campanella e Ilaria Sula avevano in comune l’età (22 anni), l’essere studentesse e l’aver detto “no” agli uomini che le hanno uccise. A Sara sono stati inferti tre tagli alla gola, dopo che aveva chiesto aiuto alle amiche per essere raggiunta e aiutata. Di Ilaria è stato ritrovato il cadavere in una valigia, in fondo a un dirupo.
La violenza contro le donne, spesso alimentata da relazioni malsane e squilibrate, è un fenomeno che mette in discussione la nostra capacità di educare le nuove generazioni alla parità, al rispetto e alla dignità reciproca.
Infatti, come accade nella grande maggioranza dei casi, l’assassino è il proprio coniuge o ex compagno, fidanzato, che non riesce ad accettare un rifiuto, la parola basta ad una storia d’amore che non avrebbe mai funzionato. Una persona capace di uccidere non è giustificabile con la solita attenuante della pazzia, dell’ atroce dolore per l’amore perduto o altre simili fanfaluche.
Due donne ancora una volta sono state brutalmente assassinate da uomini che tutti conoscevano e che loro stesse temevano per le insistenti e pubbliche scenate.
L’antropologo Mario Pollo riflette sui femminicidi che coinvolgono giovani: la mancanza di educazione all’interiorità e ai sentimenti rende i ragazzi incapaci di gestire il rifiuto. Serve riscoprire il senso della vita e la relazione con l’altro.
Ebbene, lucidamente, gli assassini avevano scelto le armi del delitto con cui erano intenzionati ad uccidere la proprie ex fidanzate.
Tutti come al solito si indignano a tragedia avvenuta ma a me resta la rabbia per non aver potuto evitare che accadesse: insomma le due donne erano spaventate dal comportamento ossessivo dei propri ex, in tanti lo sapevano; allora perché non si sono evitati questi ennesimi femminicidi? Certo col senno di poi può sembrare semplice affermare ciò, ma trovo assurdo queste morti annunciate.
Ricordo il muro pieno di nomi alla Casa Internazionale delle donne ( nell’immagine principale ), a Roma, nomi di donne uccise dai mariti, dai fidanzati, dagli ex: una scarpa rossa o una bambola per ognuna di loro ne ricordava la morte ingiusta, spesso annunciata, evitabile.
Ora ci saranno anche i nomi di Sara ed Ilaria su quel muro, una bambola anche per loro, come il sangue ingiustamente versato: la loro unica colpa è stata di aver incontrato un assassino sulla propria strada, un criminale efferato, un brutale omicida.
Entrambe non meritavano di morire, così come nessun’altra donna: i loro occhi li avrebbero potuti tramandare ai figli, ai nipoti che non avranno mai a causa degli uomini che dicevano di amarle e che le hanno ammazzate.
Cosa fare, dunque, specie a livello legislativo? Molto, in realtà, in questi anni, è stato fatto. Esistono ben due buone leggi, infatti, pienamente operanti da anni, quella sullo stalking e quella sul ‘codice rosso’.
La prima, la n. 38 del 2009, ha introdotto per la prima volta questa fattispecie di reato e, nonostante sia relativamente recente, la sua applicazione risulta già, allo stato, enorme.
La seconda è contro le violenze domestiche ed è meglio nota come legge sul ‘codice rosso’ (Legge n. 69/2019): innova e modifica la disciplina penale e processuale della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzioni penale, con incisive disposizioni di diritto penale sostanziale e di ulteriori di indole processuale.
Evidentemente, però, entrambe ancora non bastano.
Vanno aumentati i fondi per i centri antiviolenza e serve garantirne la capillarità su tutto il territorio nazionale. Serve agire sulle procure e le realtà giudiziarie perché, come spiega la relazione della Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato, tra le varie criticità c’è anche quella della scarsissima comunicazione tra civile e penale. In troppi pochi casi di separazioni, per esempio, il pm viene informato dal giudice civile nei casi di violenza e troppo raramente il pm si attiva, anche se viene informato, per intervenire nella causa civile. Serve formazione e preparazione specifica di tutti gli operatori, avvocati, forze di polizia, personale sanitario, ecc…
C’è poi l’aspetto mediatico del tipo di immagine che il sistema dei media, la rete, i social network trasmettono della donna spesso rappresentata in atteggiamenti e ruoli stereotipati.
Infine, ma è il tema che io ritengo primario e fondamentale, c’è il discorso educativo. Stiamo investendo ancora troppo poco nei percorsi educativi a partire dai primi anni di scuola per educare bambini e ragazzi al rispetto e all’affettività. Ma se non si parte da qui non si può cambiare il modello culturale che “giustifica” la violenza, questo è l’investimento decisivo.
Oltre alla formazione nelle scuole, dobbiamo rafforzare i servizi di supporto alle vittime di violenza perché è urgente che la cultura del silenzio venga spezzata, e che ogni segnale di abuso venga ascoltato e affrontato.
La discriminazione di genere, l’oggettivazione delle donne e la cultura della violenza non devono più trovare spazio nella nostra quotidianità.
Solo un cambiamento profondo e un impegno costante delle istituzioni, dei cittadini e delle famiglie potranno contrastare efficacemente il femminicidio e garantire alle donne una vita libera da paura e violenza.
Domani a chi di noi toccherà? La violenza contro le donne non può più essere considerata un fenomeno lontano, è una realtà che riguarda tutti, ogni giorno, in ogni angolo del nostro Paese e del mondo.
E’ il riflesso di una cultura che, purtroppo, ancora oggi giustifica il possesso dell’uomo sulla vita delle donne, la loro libertà, le loro scelte.
Quindi, riassumendo, occorre innanzitutto potenziare i centri antiviolenza, spazi di ascolto, supporto legale e psicologico.
Poi una formazione capillare su progetti scolastici e comunitari che insegnino il rispetto reciproco, l’uguaglianza di genere e la consapevolezza sulle forme di abuso: i giovani hanno bisogno di quell’educazione affettiva e relazionale che in Italia manca da sempre.
È altresì necessario rafforzare le misure di protezione per le vittime: chi trova il coraggio di denunciare va protetta e tutelata. Lavoriamo anche ad azioni concrete per permettere alle donne di avere quella sicurezza economica e lavorativa che spesso è una leva fondamentale per allontanarsi da relazioni con uomini violenti.
Allo stesso tempo occorre intensificare i controlli sugli uomini che hanno già compiuto atti di violenza. Per fare questo servono leggi più incisive e deterrenti: siamo di fronte a un’emergenza sociale che le donne pagano con la loro vita e questo è inaccettabile.
La violenza si combatte con la cultura; si deve partire dalle scuole, parlare ai ragazzi, insegnare il rispetto, l’affettività, l’educazione sentimentale. Creare un programma che possa davvero fare la differenza. Perché un amore che uccide non è amore. Perché chi ama non possiede, non controlla, non annienta.
Questo cambiamento deve partire anche dai banchi di scuola, deve essere responsabilità delle istituzioni e deve diventare un impegno collettivo.
Basta femminicidi in Italia e nel mondo!
Annalisa Capaldo