Conviene partire dalla fine di questa intensa o quanto meno scoppiettante storia. Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 20 maggio si può visitare una mostra davvero “esplosiva” IN THE VOLCANO: Cai Guo-Qiang and Pompeii. Disseminate tra le opere antiche del MANN, in un dialogo diretto tra una archeologia che ispira l’arte contemporanea, si trovano le opere di Cai Guo-Qiang. L’artista cinese che, pur non amando sottolineare la sua nazionalità orientale, crea i suoi pezzi d’arte dall’esplosione i fuochi d’artificio e di polveri da sparo che proprio in oriente ha una lunga tradizione. L’ esplosione diventa il medium da cui nascono le opere: l’azione dell’artista è nel progettare oggetti, colori, collocazioni, direzione dell’esplosione e nel valutare o per lo meno ipotizzarne l’impatto su oggetti. Il risultato invece è l’effetto del processo. Le aspettative, in una terra come il napoletano in cui i ‘botti’ sono di per sè arte all’ordine del giorno, erano altissime e almeno per la performance cupa sono state deluse.
Quello che si vede al museo, dunque, è la fase conclusiva di un percorso, di una performance esplosiva che l’artista ha potuto realizzare straordinariamente nello scenario dell’Anfiteatro di Pompei. Un’esplosione di cui si sente la forza soprattutto nell’intenso odore di bruciato, che invade le sale del Museo. La mostra può entusiasmare o infastidire, sensazioni che sono andate di pari passo con tutta l’operazione portata in scena tra il 21 e 22 febbraio.
Al MANN restano statue, copie di antiche opere, colorate dall’esplosione (dalla Venere Callipigia all’Ercole Farnese, all’Atlante ) o tele, grandi come quella di 32 metri esposta sul soffitto della sezione della collezione Farnese impregnata dall’esplosione, o altre più piccole che hanno trattenuto delle tracce di colore esploso, come quella non a caso posta accanto al dipinto della rissa del 59 all’Anfiteatro. Oppure, nel settore degli oggetti quotidiani, otri o vasi bruciati o distrutti. Vetri sopravvissuti quasi intatti. Disseminazioni di un contemporaneo che vuole rievocare l’antico non tanto nella bellezza quanto nell’aspirazione a ripercorrere un dialogo con l’antico attraversato dalla riproposizione della violenza naturale.
L’artista Cai Guo-Qiang, che a Firenze ha scelto di donare alla città uno spettacolo di fuochi colorati e di immagini esplosive dense di colori e gioie, qui ha voluto ri-raccontare quello che è successo nell’eruzione del 79 d.C. ricostruendolo in una performance in tre atti: esplosione (nell’anfiteatro pompeiano), riscoperta dei reperti (gli oggetti che erano nell’installazione vengono liberati e ‘riscoperti’) e poi l’esposizione (gli oggetti restano al MANN accanto alle opere antiche). Un video racconta il percorso. Un’evoluzione in cui domina l’agire dell’artista, il suo progetto. Coadiuvato da collaboratori sia nella ricerca di materiali da far esplodere, delle statue copie delle originali, sia per ‘costruire’ lo scenario dell’esplosione e poi verificarne gli effetti. Tra ripensamenti e disguidi lo ‘studio’ a porte aperte prende vita.
PRIMO ATTO: l’esplosione.
L’obiettivo della performance era ripercorrere il terribile momento dell’eruzione vulcanica che ha seppellito e nello stesso tempo ”conservato” la città antica di Pompei. Il primo momento dunque era ricreare questa esplosione In che modo? Con l’esplosione di fuochi d’artificio, di polvere da sparo nello scenario unico dell’ Anfiteatro di Pompei. La idea supportata dal Parco Archeologico è stata creare un evento di grande impatto mediatico che resti nella storia del monumento antico.
Qui è stata costruita una struttura di arte fatta di una grande tela di 32 metri su cui erano state poste statue, che riproducevano le grandi opere del MANN fasciate e pronte a reagire all’esplosione, anfore e vasi sia in ceramica che vetro, una barca in legno carica di colori e tante tele.
La mattinata del 21 febbraio però è stata piuttosto complessa. L’evento atteso da tanti si è rivelato duro. Punto primo perchè l’appuntamento delle 12 è slittato alle 15 dal momento che la struttura non era pronta. Per ore c’erano collaboratori in fibrillante lavoro. Il punto, a quanto pare, era stato che non erano potuti entrare in anfiteatro già il giorno prima per problemi sindacali con i custodi.
Poi era tanta la gente venuta aspettando di vedere uno spettacolo pirotecnico evocativo, un gioco colorato quanto meno.
Anche se era stata annunciata come giornata dedicata solo alla stampa in realtà all’evento hanno partecipato circa 150 invitati, tra cui curatori d’arte come Achille Bonito Oliva. Molti, per l’attesa hanno rinunciato. Ma poi finalmente l’evento parte. Cai Guo-Qiang ha difficoltà anche ad accendere la miccia, come poco prima a trovare un accendino, e cade a terra mentre si allontana di corsa dall’imminente botto.
La performance lascia tutti perplessi. Quello che racconta è solo un grande fumo, nubi temibili di grigio in moviemento sembrano aggredire una parte dei ‘testimoni’. Tutti arretrano spaventati. Non si vede molto altro. Alcune immagini, soprattutto nel lato sinistro della zona ‘platea’, sembrano scene di guerra con persone che camminano nel fumo più nero. Dall’altra parte, invece, sembra meno impregnato e si vedono gli oggetti prendere fuoco. Anche l’esplosione di colori che parte in un secondo momento viene solo intravista. La delusione è di tanti.
E’ chiaro, sempre di più, che si tratta di uno studio e che la performance vuole suscitare solo terrore. Gli spettatori sono protagonisti di un’emozione non di una visione, la stessa che diventa parte del video che Cai ha fatto realizzare di questa performance.
SECONDO ATTO: La riscoperta
Finito il terrore, si nota che qualche pezzo non si è bruciato, che i vetri sono intatti ma dove sono le statue dell’Ercole Farnese, o meglio la sua copia, il colore ha preso forma. Una delle domande che però sorgono spontanee è come mai, se di Pompei si parlava, l’artista ha usato copie di opere che non sono neppure state trovate a Pompei come appunto l’Ercole o la Venere Callipigia o l’Atlante Farnese? L’artista ritiene quelle opere parte del suo dialogo con la cultura greco-romana, forse lasciando intravvedere la sua distanza dalla storia e il suo intento legato sostanzialmente al voler creare suggestione. Dalla tela di trenta metri, impregnata di nero e di qualche colore, vengono tolte le altre tele che erano sovrapposte. Sembra un piccolo disastro, in cui alcune cose sono andate diversamente dal voluto, come succede o può succedere alle performance realizzate ‘qui e ora’.
Le persone sono tra l’attonito e il perplesso. Per qualcuno rimane la sensazione fastidiosa di un intero pomeriggio passato ad aspettare fumo e tosse, odore acre e visioni dal sapore apocalittico e nient’ altro.
TERZO ATTO: l’esposizione
Il giorno dopo, il 22 febbraio, l’inaugurazione al MANN. Tutte le sezioni del museo vengono ‘contaminate’: da quella degli oggetti a quelle dei mosaici, alle pitture e soprattutto alla sezione Farnese. Dialoghi tra staute antiche e anticate dalla violenza dell’evento contemporaneo invadono spazi. Il clima che contribuisce a creare l’esposizione è quella del senso di impermanenza e impotenza. Così come nelle sale della collezione Farnese il grande telo di 32 metri esposto sul soffitto è in parte a brandelli a causa dell’esplosione. Ma la cosa che colpisce di più è proprio il video dell’evento. La cura delle immagini colte da vicino, le riprese dall’alto, i punti di vista diversi fanno vedere un’esplosione-capolavoro di cui non ci si è resi conto pur se testimoni dal vivo. Lo stesso pubblico presente alla performance, o meglio la reazione di paura sentita degli spettatori che vedevano il fumo velocemente aggredire lo spazio, è diventato parte del video, ne completa il senso. Così si ha la sensazione strana di esser stati inseriti in un processo inconsapevole, iniziato con un’estenuante attesa e terminato con un senso di angosciosa paura. Sentimenti che diventano, grazie al video, parte dell’opera. La differenza con tutti i video realizzati dalla stampa è infatti molto evidente. Su alcune pagine dei media girano infatti altre foto create ad ‘arte’ da chi era oltre quel limite imposto per sicurezza e più dentro l’opera.
Il MANN, come ha ben chiarito in questi ultimi anni, ospita sempre nuovi progetti. In questo caso un processo sinergico anche con la fondazione Morra e manifestazione di un salto nel modo di concepire l’arte che solo alla fine del percorso si capisce avere livelli diversi. La vera scoperta è la visita al museo, tutto il senso di disagio della performance viene sublimato in una consapevolezza di essere irrimediabilmente, inconsapevolmente e anche forse fastidiosamanete parte dell’opera. Chi ha assistito allo studio in anfiteatro non è stato solo testimone, non ha solo necessariamente una visione diversa delle opere ma è, inaspettatamente, diventato tassello dell’opera stessa, come solo dopo si accorge dal video. La sensazione di fastidio (certo esasperata un po’ dalla lunga attesa) legata al tema mortifero e all’assenza di colore di una performance di fumo ha generato anche frammenti di timore, quella paura registrata eternamente nel video. E tutti quei sentimenti restano, macinano anche nel vedere il risultato. Chi era presente alla performance, poi andando al museo, è un visitatore diverso è ormai segnato da quella esperienza, dal ricordo e dal risutato. Chi vede per la prima volta quelle opere non ne percepisce il contrasto emotivo, ma riesce a vedere solo la manifestazione di un dialogo con una bellezza esasperata dalla forza delle esplosioni, ne percepisce solo colori e speranza. Non è un caso che la cosa che colpisce di più e resta nella memoria è quell’odore, penetrante che sa di esplosione. Colpisce tutti, certo, ma chi era stato nell’Anfiteatro ne sente marchiato addosso il sapore.
La mostra è stata curata da Jérôme Neutres, e la realizzazione di In the Volcano è stata possibile grazie al supporto organizzativo della Fondazione Morra.