Coronavirus. Non si parla d’altro. Il suo nome risuona ormai ovunque, nei suoi vari volti. La paura è la sua cifra particolare. I media tutti e i social tutti, come un coro di una tragedia, lamentano sentimenti che istillano dubbi, goccia dopo goccia, trasformano gli umori di una precarietà ignorata in una certezza. I bollettini di malattia, nel Meridione del Paese, diventano per giorni sostanzialmente bollettini di ‘probabili contagiati’, di paure rese nome, rese corpo. Respiri di sollievo continui. Si vive in una strategia del ‘terrore’ che si basa sulla comunicazione tendenziosa, travestita da desiderio di verità. Risposta univoca al mercato delle informazioni, del chi arriva prima, del riempire pagine di ‘notizie sensazionali’ e soprattutto a Tema. Una ruota che gira veloce, fino al momento in cui l’attesissimo malato in Campania è arrivato. E il gioco dei rimbalzi, stranamente, è finito. Ho paura che sia anche perché i giornalisti adesso sono tutti impegnati a seguire il caso reale, a dare dettagli su quello ( a parte oggi che c’è stato Macron a Napoli e allora il gioco sposta il campo).
Inquietudini giornaliere. Non si parla d’altro. Per strada tutti hanno la loro idea su questo virus. Tutti. Strategie economiche, politiche, fanta-politiche, persecutorie, legate dal filo del potere, figlie di ignoranza, di mancanza di igiene avrebbero colpito il cuore di due mondi che avevano aperto una vita tra loro… L’Italia chiama la Cina e la Cina risponde. Telefono senza fili che interpreta realtà deformandole. Così la chiusura ai cinesi e alla Cina (che poi voglio dire mi chiedo se lo sappiamo tutti che anche se chiudete le piste ad aerei provenienti dalla Cina le persone vengono da altri scali europei?) è diventata la chiusura all’Italia e agli italiani, ‘appestati’ no che dico ‘accoronarovirussati’ nel mondo. I bollettini hanno cambiato nazione. Persino i Cinesi in Italia non fanno più notizia virus, ma le violenze nei loro confronti, quelle restano. Amici cinesi ‘sfottono’, prendono in giro le capacità italiane di proteggersi dal Virus: “ma se mettete le mascherine sotto il naso, lo sapete che non serve? siamo molto preoccupati”. E i Cinesi sì che rispettano le regole. D’altro canto solo a Napoli possono correre veloci messaggi di birre “corona senza virus a 3,50” e solo dalla Cina può arrivare un video di un cane con mascherina che va a fare la spesa, con tanto di automobilina e controllo della temperatura. Solo nelle strade di Napoli puoi vedere un uomo che va in giro con una maschera da snorkeling, a viso completo per carità, come se i virus, vedendole, si spaventassero di entrare nell’aria del tubo. Forse ridere è la cosa migliore, la miglior cura.
Intanto il paziente zero è sparito, forse lui lo sa ma non lo dice. Forse si nasconde o forse proprio non se n’è accorto. Da come si comportano gli italiani spesso, non considerando affatto la presenza degli altri, potrebbe essere una persona che proveniva da qualche focolaio e avrà pensato di ignorare la cosa “tanto mica proprio a me deve capitare?”. Con questo stesso spirito italiani che per caso, per lavoro, per interessi, erano al Nord, in Lombardia magari a Codogno meglio, tornano a casa ad abbracciare i propri cari. Per portare il regalo più grande: un coronavirus pure per loro. Perché no, io restare a casa non posso, restare al nord ho paura. Eppure ai miei genitori, magari anziani, voglio pure bene. Figli del Nord tornano a casa, Genitori del Sud accolgono a casa, perché sono pezzi di cuore. Mistero della mente. Lavate le mani, non andate in ospedale. Lavate le mani, non andate in ospedale. Lavate le mani, non andate in ospedale. Ma tanti non sentono, forse vivono in un’ovatta senza alcun media. Ma tanto il numero preposto non funziona… Denuncia di una realtà assolutamente impreparata. Giustificazione al mio mondo e mio modo di vivere l’altro.
Chi è il nemico? Chi è il salvatore? Cinese nemico, lombardo nemico, Settentrionale nemico. Italia nemico. Non si salva nessuno. Qui al Sud non c’è speranza. Perché tanto i consigli e le cautele servono, ma a qualcun altro. Non certo a chi vive la sua vita. Perché tanto non coinvolge me. Provo a tenere la distanza, ma come si fa a controllare l’aria? Come si fa a vederne il vero spessore di profonda vita. Insomma come si vede un virus?
E così questa epidemia diventa una grande metafora del rapporto tra io e l’altro, io vivo me, la mascherina la metto perché mi proteggo da te, ma se ho il raffreddore non uso il gomito. Io non devo ammalarmi. Io non sono malato. Tu devi stare attento. tu puoi ammalarti. Io non condivido con te la stessa sorte perché è sempre e solo l’altro ad avere qualche problema, coronavirus o qualsiasi visione della vita sia. Io separato dall’altro, diverso da me, non ha niente a che fare con me. Minimizzare la vita.
Le storie del coronavirus vanno avanti da un po’. La televisione a porte chiuse trasmette messaggi a volte solo apparentemente tranquillizzanti. Tutto sotto controllo. Epidemia, pandemia probabile, influenza di poco conto, tanto ‘uccide’ solo chi è già malato.. Bhe alla fine una nota di stupore c’è. Si può dire che il messaggio più positivo, invece, e non te lo saresti mai aspettato, viene proprio da un Francese. Pronto a colonizzare forse lo spirito debole italiano. Il presidente Macron arriva in Italia, addirittura a Napoli (città blindata). Uomo di politica, sfoggia parole inaspettate, sfoggia passioni teatrali, letture di scrittori, passioni di parole. La politica e gli accordi. Le città è chiusa e, nello stesso tempo, è aperta al mondo di rappresentanza francese. Napoli come la capitale. Ma, grazie a Fazio, che ripropone una intervista fatta al presidente Francese, arrivano parole rincuoranti… le dice in italiano Macron, le parole che gli piacciono di più: ” il cuore oltre l’ostacolo”. Certo mancava il verbo ma l’invito resta. Lanciare il cuore, cardine per lui del legame tra i due popoli, oltre l’ostacolo della situazione. Ritrovando in questo organo pulsate, vivo, vivido, il senso.
Si parla di italiani e francesi, ma il discorso lo amplierei agli esseri umani con gli esseri umani. Quasi fossimo veramente tutt’uno, come questa influenza senza limiti di nazionalità. Vivere pensando anche agli altri, alle connessioni inevitabili e a quelle evitabili. Perché la vita, che è interazione, diciamolo, senza gli altri, tutti gli altri, avrebbe poco senso.