Il finale del folle e omonimo film di Bellocchio è di pura fantasia, Moro che esce dal covo Br e passeggia da solo per le strade di Roma. Poi i titoli di coda riportano alla realtà, cioè al paradossale funerale di stato, senza salma per volere della famiglia. 9 maggio 1978, 42 anni fa, di primo pomeriggio, fu ritrovato in luogo simbolico di Roma, a metà strada tra le sedi di Dc e Pci, il cadavere di Aldo Moro, presidente della Dc, ispiratore del compromesso storico, del primo governo col sostegno esterno dei comunisti. Fu rapito a marzo, scorta trucidata, una perfetta azione militare che ancora oggi fa presupporre la partecipazione di altra gente oltre ai brigatisti, dai servizi segreti puntualmente deviati a interessi americani, sovietici, arabi e malavitosi di bassa lega. Insomma Moro lo volevano quasi letteralmente morto in tanti. Mentre pochissimi cercarono di superare il blocco della linea della fermezza, ovvero l’amico Paolo VI, papa che morirà qualche mese dopo, i socialisti, i radicali. Se Moro fosse uscito vivo dalla cosiddetta prigione del popolo, forse la storia moderna italiana sarebbe stata diversa. Oppure no, visto che Moro, pur non sporcandosi mai l’anima, sapeva tutto, di segreto in segreto, e raramente intervenne con fermezza, preferendo il lasciar andare o il comporre, in vicende pesanti che avevano riguardato il suo partito e in generale quella prima Repubblica caratterizzata dalla guerra fredda, dalla strategia della tensione e dalla corruzione che emergeva ben prima di Mani Pulite.
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